martedì 21 luglio 2015

You can't hurry Rome

La chiamano la città eterna. Quel posto a cui tutte le strade portano. Un museo a cielo aperto. La nostra storia incastonata nei marciapiedi dove i tacchi si incastrano tragicamente. 
Eppure Roma è molto di più. 
La vera magia di questo posto non si nasconde dentro le sue oggettive meraviglie di cui poeti, romanzieri e pittori hanno immortalato istanti indimenticabili. 
Roma ti ticchetta dentro come un orologio da taschino nella tasca di un coniglio bianco che sta per entrare fra le fronde di un vecchio albero, vive nelle voci non modulate dei venditori che con la stessa tecnica dagli anni ’60 ad oggi chiamano turisti, si impregna ai vestiti con i suoi mille profumi diversi da quartiere a quartiere. 
E poi ci sono loro: l’Italia con il sole dentro. 
Ogni mio viaggio a Roma mi fa rivalutare il popolo di cui non sento la mancanza quando vivo dall’altra parte del mondo. Vivere al Nord ti abitua al freddo, all’impersonalità, all’individualismo. 
Il Nord è posh e Glitterato come solo la sua capitale, scintillante come poche città del sud Europa sa essere. Impiegate a tutto sesto che emulano modelle anoressiche sorseggiando con un sorriso amareggiato un insulso centrifugato di frutta in pausa pranzo. Cocktails di ansiolitici e vodka per aperitivo. Una piccola Manhattan del vecchio continente. 
Ma Roma no. 
Roma non mente attraverso gli occhi di chi la vive ed offre ad ogni passante un sorriso sincero. 
Non risparmia mai sentimenti, volume o calorie. 
Nel cuore dell’Europa del sud è impossibile non innamorarsi. Di una Statua d’altri tempi, di un piatto di bucatini del colore delle ciliegie più mature, delle sue infinite scale, dei bambini che si tuffano nelle fontane a luglio, dei “nasoni” che offrono acqua fresca senza far domande, delle stesse canzoni che rimbalzano da portico a muro da almeno tre generazioni, delle tovaglie scozzesi e delle fraschette, di ogni singola storia nascosta fra un vicolo e l’altro. 
Come l’amore, Roma non può andare di fretta. Devi prendere il tuo tempo e perderti nella sua dimensione dilatata. Crogiolarsi nel “dolce far niente” che rappresenta questa terra di bellezza e piaceri. 
Che nemmeno la Crisi, il terrorismo mediatico e i cicloni tropicali sono stati in grado di imbruttire. 
Se state per partire per Roma mettete nello zaino un pezzo di cuore ed una taglia in più. Il primo lo lascerete nel vostro angolo preferito. La seconda vi servirà per portare tutto a casa. 

Supponendo che Roma non diventi un po’ casa anche per voi.  

lunedì 29 giugno 2015

Cosa accade nella vita delle persone quando sono offline.

Long time no speak.
Credo di dovervi delle scuse, visto che in questi mesi di silenzio il mio blog è stato continuativamente visitato e cliccato. Persa nel mondo reale, quello dei cibi e dei profumi che si amplificano alle frontiere fra più stati, mi sono assolutamente persa puntate nel mondo virtuale.
Ma siccome questo piccolo angolo di paradiso tutto mio ha motivo di esistere, vediamo di aggiornare il database di Charlie Man, raccontandovi a diapositive cosa fa Charlie Man quando passa meno tempo connessa.







Passeggia fra Templi di diverse religioni: 
So che sembra un passatempo bislacco per un'agnostica in cerca di un mondo spirituale che l'aiuti a capire il senso dell'esistenza, eppure passeggiare fra templi di ogni credo religioso mi infonde un immenso senso di pace. Anche in questi assurdi tempi di ordinaria follia, dove l'umanità si lascia scivolare addosso i valori della vita in cerca di quelli di un conto corrente, trovare qualcuno che prega è per me fonte di enorme pace è tranquillità e rimpingua in breve tutta la fiducia che il resto degli umani mi fanno passare con i loro superficiali atteggiamenti.
Così non solo sono stata in templi Hindu ad assistere a cerimonie di purificazioni di statue con il latte, nel Tempio Buddhista più grande al mondo a Java e nei Tempi Buddhisti-Cinesi di KL, ma ho trascorso addirittura il giorno del mio compleanno passeggiando al fianco di un immenso Buddha dorato, che con il suo sguardo beato non mi ha dato la benché minima risposta sul senso della vita, eppure il suono delle campane suonate dai suoi fedeli qualche domanda in più me l'ha fatta porre. E nulla mi spaventa di più di avere una vita senza nuovi quesiti o nuove sfide.



Lavora, spesso senza sosta per giorni! 
Si, questa sono proprio io. Proprio come ora, con il mio Mac, i miei occhialoni da hipster del cazzo, 47 finestre aperte con corrispettivi 32 tab per una, la radio online di Itunes che passa Jazz di altri tempi e via!
Si, lo so che per voi nel vostro ufficio di compensato grigio topo, io appartengo alla categoria "fancazzisti" che prima o poi sbatterano il muso contro la realtà e torneranno a guardarsi in giro per un lavoro serio. Eppure, signore e signori, spesso ciò che sembra non è ciò che credete.
Sette mesi in Asia e il mio piccolo Business è cresciuto.
Sono cresciuti i miei clienti, sono cresciuta io e ad oggi mi trovo a gestire situazioni che non avrei nemmeno mai immaginato, clienti importanti e a collaborare con uno staff straordinario di sognatori e viaggiatori, che pur vivendo nel loro modo preferito riescono ad essere comunque fra i migliori professionisti che abbia mai incontrato. Ebbene si: ad un anno e mezzo dal giorno che è nata la mia impresina non è solo sostenibile, ma in espansione, sto seguendo altri due progetti che partiranno entro la fine del  2015 e spesso le mie giornate lavorative corrispondono alle giornate solari. Eppure non c'è lusso più grande di vivere la vita che si vuole, mantenendola con un lavoro che si ama.

Passa il suo tempo libero in modo costruttivo. 

Chi non legge vive una vita sola, secondo S.Agostino. Per quanto i filosofi cattolici risveglino in me irritazioni cutanee degne di un'intossicazione alimentare, questa volta tolgo il cappello ed incasso l'assist di un uomo che forse in qualcosa ci ha azzeccato.
Dedicare il tempo libero a qualcosa che si ama veramente è fondamentale per riuscire poi ad ottenere il massimo della concentrazione nei momenti in cui si affrontano i momenti più noiosi del lavoro (ebbene si, anche il lavoro dei sogni ha quelle cose da sbrigare per cui non vedi l'ora di assumere qualcuno che le faccia in tua vece!)
Ma una delle mie doti più rimarcate è sempre stata trovare il lato positivo anche in queste piccole cose, e crescendo ho scoperto il modo per ottimizzare non solo il tempo alla scrivania ma anche quello nel balè che guarda il verde scintillante della risaia. Nulla c'è di più prezioso del "Me Time".


Si ammala!
Purtroppo non ho ancora trovato il segreto della salute eterna, per cui anch'io come tutti in questo lungo "inverno" tropicale, mi sono ammalata qualche volta. A parte il sospetto della tanto temuta Dengue, fortunatamente sventata, il resto delle mie patologie sono state dei fastidiosissimi raffreddori presi a bordo dello scooter in seguito ad una torrenziale pioggia monsonica ed una sinusite durata ben una luna regalata dall'escursione termica fra i 38-40 gradi Thai e i 19 dei mini market, bar e caffè cittadini.
Non vi preoccupate: sono la prova che anche in questi paesi apparentemente in via di sviluppo si possono trovare dei medici in grado di prescrivere l'antibiotico giusto e non si muore, nemmeno qui, di raffreddore o infezioni lievi.
In ogni caso una buona assicurazione medica è una manna dal cielo e non va assolutamente sacrificata affidandosi al caso, al Karma, ad altre filosofie lontane dal nostro modo di pensare.

 Ha passato del tempo con i suoi esseri viventi preferiti. 
La vita di una nomade contemporanea ha molti lati positivi. Uno dei miei preferiti è l'inutilità di mantenere una maschera con le persone. Nel vostro mondo si chiama spesso diplomazia, pubbliche relazioni, saper stare al mondo. Per me è ipocrisia (dal greco υποκρίνομαι fingo/simulo che, recito).
L'unica certezza che abbiamo a questo mondo è che ce ne andremo e a quanto pare proprio quando tireremo le cuoia saremo improvvisamente simpatici a tutti e smetteranno di parlare alle nostre spalle. Non potendo loro impedire il loro atteggiamento da doppia faccia, preferisco selezionare accuratamente le persone con cui condivido parole e pensieri, cibo e bevande e il mio fin troppo limitato tempo. Sono consapevole di guadagnare con questa mia definizione il titolo di misantropo, eppure vi assicuro che da quando ho smesso di curarmi di una buona parte di esseri umani, la mia vita è notevolmente migliorata e come dice qualcuno "dormo meglio, mi ammalo di meno.."
La vita è troppo breve per accontentarsi di persone e situazioni che ci soddisfano a metà. Preferisco trascorre il tempo con esseri da cui ho da imparare qualcosa, con cui condividere chiacchiere e pensieri senza secondo fine, che riempiano il mio tempo di ottimismo e positività invece di crogiolarmi nelle loro trappole emotive. Ed essendo fortunata non solo ne ho incontrati diversi in questo angolo di mondo non troppo lontano, ma alcuni si sono fatti addirittura una giornata di voli e scali per venire a vedere quello che è per me il meglio che questo mondo mi  possa offrire.

Sono una donna fortunata.

 Ha cominciato a combattere le sue paure invece che assecondarle

A 32 anni le paure non passano da sole. Non hai più quella sana incoscienza che ti permetteva di superare tutto in un battito di ciglia. Hai quindi due strade davanti: o andare avanti a coccolarle facendole crescere il più silenziosamente possibile, oppure prendere il toro per le corna e soggiogarle.
La mia risposta è stata noleggiare una nuvoletta bianca e blu e percorrerci le malmesse strade di curve e giungla che solo Ubud sa offrire.
E non mi sono mai divertita tanto.

 Si prepara a tornare nel vecchio continente. 

Per qualche settimana (dai su ammettilo che ci speravi che ti dicessi che ho finito il cash e torno a casa da mammina, eppure no, sei nel blog sbagliato, ed un giorno ti spiegherò il perchè.)
Il modo migliore di continuare un viaggio è prendere un po' di tempo per riportare tutto a casa. Ed io di bagaglio ne ho accumulato un po'.
Ma non aspettatevi di vedermi fare la muffa in qualche noioso centro urbano!
La mia estate sarà all'altezza dell'inverno passato ed in men che non si dica arriverà il prossimo intercontinentale.  Quando capisci che le l'unica persona che ti può fermare è nella tua testa, chi ti ferma più?

domenica 15 marzo 2015

Effetti collaterali del mondo dal tempo di gomma.


Tutti hanno l'immagine di noi nomadi digitali come un branco di fancazzisti che passano le loro giornate a sorseggiare cocktail, a chiacchierare sui massimi sistemi e a vivere con il cheque di mamma e papà o a mangiare i propri risparmi.
Magari c'è chi può permetterselo ma io, s-fortunatamente, non appartengo alla categoria.
Dopo oltre un mese di lavoro intenso che mi ha alienato, di nuovi progetti che occupano il mio tempo libero  come piccoli rivoluzionari anarchici in una scuola abbandonata e di preoccupazione per i bonifici che arrivano sempre con una calma che tendo a non avere, finalmente è giunto anche per me il momento di prendermi qualche giorno di vacanza.
Così, avendo scoperto l'esistenza di un nuovo parcheggio custodito per gli scooter in zona aeroporto di è deciso di evitare di ingaggiare un tassista per le trasferte e di fare quei 40 km con il mezzo balinese per eccellenza.
L'unico problema che si scorgeva all'orizzonte era l'orario del volo, intorno alle 6 del mattino che rendeva il viaggio in scooter verso l'aeroporto un viaggio della speranza, considerando che la Ngurah Rai, il GRA di Denpasar, è un incrocio fra una superstrada e una città indiana. Si è optato quindi per la soluzione più comoda: partire il giorno precedente e dormire in aeroporto trovando un angolino comodo vicino a qualche gate poco frequentato.
Una volta arrivati, si è deciso di andare diritti ai gate passando tutti i controlli del caso.
Primo check della security, fatto. Secondo check del biglietto con tanto di battuta di bar code, fatto. Scan e controlli vari (fra cui quello della carta d'imbarco, superati. Desk ufficio immigrazione, per ottenere il timbro in uscita con conseguente controllo di carta d'imbarco, date varie, etc etc, superato con successo. Finiti i canonici venti minuti di rat race, mentre camminiamo, controlliamo gli orari sul biglietto. Ed ecco la fantastica sorpresa: due dementi italiani, stressati dal lavoro e contaminati dall'eterno stabile scorrere del tempo asiatico si sono presentati in aeroporto convinti di partire l'8 con un biglietto erogato per il 7.
Dopo reciproche minacce di morte violenta non consumatesi data la location inappropriata e diverse bestemmie che sono andate a cancellare una settimana di mantra e meditazione alla ricerca della pace interiore, ci siamo dovuti procurare a circa otto ore dal volo un nuovo biglietto, questa volta per il volo giusto.
Ma la domanda che sorge spontanea è: vabbè che noi siamo due rincoglioniti stressati, ma è mai possibile che in quattro controlli in un aeroporto internazionale NESSUNO si sia accorti di questi ritardati (nel senso di ritardo orario) che tentano di passare i controlli con una carta d'imbarco scaduta?
Probabilmente consapevoli della loro colossale cappella, quando ci siamo recati all'ufficio immigrazione facendo loro notare che abbiamo accesso ai gate con il biglietto sbagliato, perfino i burocrati indonesiani di turno la notte, irosi come una casalinga che non riesce a vincere la guerra agli acari, si sono messi il loro sorriso migliore e siamo stati scortati in tutto il percorso per "risolvere la questione". Mentre venivo accompagnata da desk a desk pensavo: whoa, se fosse capitato in Italia avrei perso ALMENO un quarto d'ora assistendo a tutti i responsabili dei quattro check che si scaricano la colpa a vicenda, cercando di evitare grattacapi e probabilmente avrei dovuto trovare una passaporta per raggiungere lo sportello della linea aerea per stampare i miei nuovi biglietti.
Ma più tempo trascorro qui, più realizzo che la magia dello spirito indonesiano si nasconde dietro alle loro straordinarie doti di semplificazione.
Pur avendo ricevuto il timbro che non mi autorizza più l'entrata allo stato senza quello dello stato successivo, scortata da un agente, sono rientrata nella zona proibita senza che nessuno si faccia domande.
Nessun protocollo, nessuna regolamentazione che non possa essere "violata" per non trascorrere la notte cercando di uscire da situazioni kafkiane.
Il mio danno si è limitato a 100 €, l'acquisto di un biglietto last minute per risanare la mia disattenzione e svariate bestemmie.
Probabilmente nell'occidentale mondo della "forma" e delle regole oltre a varie lavate di capo ed insulti, magari pure un po' di derisione, mi sarei trovata a fare i conti con una quarantena burocratica.
In tutto questo rido. Rido perché sono in un angolo di mondo in cui io sono l'immigrata, devo lottare con i permessi di soggiorno ed i miei "stipendi" occidentali non sono abbastanza per garantirmi il benessere e la vita semplice. Rido perché tutto il mondo è paese e stare dalla parte dello straniero che ogni volta che si trova un agente davanti teme di essere bullato per estorcerti qualcosa in più, ti fa comprendere come il mondo non sia lineare e sentirti al sicuro a casa tua è come vivere in una campana di vetro.
Ma rido soprattutto perché essere una control freak che controlla tutto 10 volte, dal rubinetto del bagno alla serratura di casa, non mi ha esonerato da commettere l'errore di sbagliare il giorno in cui dovevo presentarmi al gate.
Credo che sia proprio questo il concetto di "tempo di gomma" e francamente credo che a questo punto il tempo di gomma mi sia entrato dentro, e non mi lascerà per molto ancora.

giovedì 5 marzo 2015

Aspettando Thoreau

Il primo messaggio che ho letto questa mattina, attivando le sinapsi prima del sacro caffè, era di un mio affezionato ed adorabilmente critico lettore.
"Se tu dovessi considerare la semplicità, come argomento di riflessione, che pensiero metteresti per iscritto?"
Come un caleidoscopio questa frase mi ha accompagnata durante la giornata. Dalla colazione, consumata in chiassoso silenzio mentre canticchio i Lynyrd Skynyrd, alla mia lezione di Power Yoga, l'ultima frontiera del masochismo per il mio corpo male allenato.
Pensare la semplicità è semplice. Scegliere un solo pensiero rende la questione molto più complessa.
Dopo essermi persa fra infinite citazioni, libri e canzoni, sono giunta alla conclusione che tentare di descrivere la semplicità la complica e si perde il fine stesso della sua essenza.
Non scriverò quindi nessuna riflessione sulla felicità ma vi lascerò l'immagine che nella mia mente rappresenta in toto la sua quintessenza.

Holi in India.


mercoledì 4 marzo 2015

Il mondo fuori dal nostro mondo. Perchè smettere di sentirci superiori, può aiutarci a vivere meglio.

Mancano pochi giorni e mi addentrerò nel cuore del paese islamico più grande al mondo. Un Islam moderato, che basa la sua esistenza sul rispetto dei credo altrui, pur facendo sentire la propria presenza con leggi molto distanti dall'occidente.
Vivere in una società Hindu per quattro mesi mi ha regalato il dono della comprensione della diversità, oltre la retorica. Per quanto liberalismo vendiamo nel nostro mondo dalle poche regole spesso infrante, il diverso che accettiamo è colui che ha comunque punti in comune con il nostro pensiero. Accettiamo altri occidentali, perchè per quanto possiamo percepire le loro piccole abitudini diverse dalle nostre, hanno comunque un filo che riconduce alla stessa matrice. Abbiamo però un senso di difesa sempre attivo nei confronti di coloro che provengono da un mondo che ignoriamo e la xenofobia si nasconde proprio dietro le differenze sostanziali, che spesso ci limitiamo a giudicare senza tentare di capire.
A volte sorrido, quando penso a quando meno di un anno fa, su di un treno stipato che collegava Bologna a Piacenza, c'erano ben tre posti liberi di fianco ad un Sikh, e nessuno vi si accomodò, se non a Reggio Emilia, quando due giovani Francesi salirono a bordo, guardarono increduli il gruppo che se ne stava in piedi per il tragitto mentre c'erano dei posti vuoti e senza pensare due volte, sorridendo si sedettero, senza timore di alcun raggio malefico o contaminazioni aliene. Pur non avendo mai avuto problemi a sedermi di fianco ad uno straniero visibilmente pacifico, spesso preferendoli a Mamme Italiane DOP con marmocchi sbraitanti a seguito, ora che la straniera sono io, mi sento quasi una persona migliore.
L'Italia è un piccolo mondo antico in collisione con una mondiale globalizzazione, che come un bambino delle elementari abbastanza viziato, vuole che il gioco vada secondo le sue regole e pesta i piedi iroso in attesa che Mamma intervenga in suo favore.
Perchè noi mozzarelle bianche, con i nostri vestiti di marca e scarpe costose, non siamo da temere quanto uno straniero con un turbante in testa che percorre la nostra stessa tratta su di un treno per pendolari?
Non siamo stati anche noi (leggi occidentali) a fare delle guerre "di pace", in paesi vittime delle catene dell'odio ove per pura casualità risiedono gli ultimi giacimenti petroliferi? Non ci sono forse stupri, omicidi e violenze anche all'interno delle case per bene occidentali e non è sempre stato così? Non siamo forse noi, che viviamo nello stesso quartiere da ventanni e non ci prendiamo la briga di stringere la mano al nostro vicino? Quelli che provano odio ed invidia per i successi delle persone che li attorniano? Coloro che hanno inventato Wall Street da centinaia di anni vivono in funzione del dio denaro?
Non siamo forse noi che scegliamo di non avere figli perchè vogliamo ancora un po' di tempo per goderci la vita, che poi quando arriva un bambino finisce la festa? Non sono forse le nostre catene dell'odio, ad aver soggiogato l'Africa?
Ogni tanto mi arriva la domanda: Ma tu non hai paura di vivere in uno stato musulmano? In un paese in via di sviluppo? In mezzo a focolai di malattie che nel nostro mondo sterilizzato non esistono più? Sull'anello di fuoco, fra vulcani e terremoti?
Io ho paura di tornare nel mondo dove se porti a spasso un Iphone senza custodia e pellicola protettiva sei considerato un'irresponsabile mentre si calpesta il cuore delle persone che si dice di amare senza pensarci due volte. Ho paura di un mondo dove tutti hanno paura e costruiscono anche i loro sorrisi, per sentirsi all'altezza. Mi spaventa una società dove quando sorriderò ad una persona di cui lo sguardo si incrocia al mio causerà mille pensieri, tutti sospettosi, invece di trovarlo un normale gesto di umanità.
Ho paura di rientrare sotto la bolla protettiva del mondo che mi accetta legalmente ma non umanamente. Mi terrorizza un mondo fatto di gruppi, in cui la catalogazione corrisponde a sicurezza e l'individualità è considerata negativamente. E provo sempre più disprezzo per una realtà dove si confonde l'indipendenza con la volgarità, la libertà con la svendita del proprio essere ed i sentimenti con gli ormoni.
Ho incontrato Americani, di preciso un Ingegnere Aerospaziale che ha lavorato per la Nasa, che hanno lasciato tutto perchè non si sentivano di vivere nel sistema in cui erano, ed ora fanno lavoretti salturari in baretti lungo la spiaggia.  Ho incontrato Indiani che lavoravano come sistemisti per i sistemi di comunicazione degli aeroplani, avendo raggiunto la tanto sognata America, rimettersi in viaggio in cerca dell'umanità che sentono di aver perso. Tedeschi che vivono in giro per il mondo, chiedere di non odiarli per le colonialiste politiche teutoniche e dirmi che anche nell'arrogante Germania il popolo tira la cinghia, lavora dopo la pensione perchè lo stato non ha una previdenza sociale. Inglesi lamentarsi del loro sistema d'istruzione, incensato in tutto il mondo. Ho incontrato Italiani che lottano per un'indipendenza economica e sono felici senza pasta cotta al dente e la moka in valigia rifiutando proposte che li riporterebbero a casa. Olandesi lamentarsi della corruzione del proprio paese.
Penso spesso alle mie lezioni universitarie di Antropologia, allora così lontane dal mio mondo, oggi il segreto che mi porto in tasca in ogni angolo del globo per apprezzare la diversità.
Ogni paese, ogni angolo del pianeta, è un calderone di problemi. Ospita di tutto, dalla crudeltà più illogica allo splendore del senso universale di umanità e cooperazione.
Non esiste un popolo migliore o peggiore. Non sempre c'è l'happy ending.
Ma quando parti per il mondo con il cuore e gli occhi aperti, pronti a raccogliere ogni lezione che verrà, allora capirai che questo mondo non merita di essere visto dalla TV, ma di essere vissuto a pieni polmoni. I cibi sono fatti per essere assaggiati e la musica per essere ballata.
Vivere una vita nella paura non ti preserverà dal finale ultimo che attende, in un qualche modo, ognuno di noi.
Quindi vediamo di goderci il viaggio, cercando quello di buono che ancora c'è, in questo mosaico di idee e colori che è l'umanità.
Tanto la vita è molto più grande di noi e alla fine siamo tanti piccoli battiti di ciglia negli occhi di eterne divinità, che possiamo chiamare tempo.

lunedì 2 marzo 2015

Home.

Sono stata una viaggiatrice per la quasi totalità della mia vita adulta. Mi sono spinta fin da giovane prima oltre i miei confini regionali, poi in un altro stato ed ora in un altro continente.
Ogni volta che ho scelto un angolo comodo di mondo per le mie necessità del momento non ho mai necessitato di molti pilastri per sentirmi a casa.
Casa per me sono sempre state le quattro mura che mi hanno ospitato e dato un senso di sicurezza e protezione. Un nido dove riposare dopo lunghi turni di lavoro. Dove consumare i miei pasti nella totale tranquillità senza paura di macchiare i vestiti, una delle mie doti più note.
Un posto dove riconoscermi nel volto di qualcuno che mi fa un caffè o mi prepara un sandwich. Un vicino che mi saluta quando rientra a casa.
Nella mia vita non ho mai avuto molte certezze, anzi ho sempre sospettato che le certezze siano una sorta di cancro che tendono a zavorrarci facendoci deglutire bocconi amari insensati al fine ultimo della nostra esistenza. Questo mio approccio del tutto personale alla ricerca della mia comfort zone mi ha portato a costruirne una mentale, che mi porto a spasso insieme al mio PC e quei pochi oggetti importanti per il mio lavoro e per la mia memoria storica. Ci ho ragionato e filosofeggiato a sufficienza per stabilire che le mie radici sono talmente profonde che spesso ciò che accade in superficie è effimero e passaggero.
Tuttavia la mia vita guardando un altro oceano, mi ha portato più volte a mettere in discussione i pochi punti che credevo di aver già chiarito nel corso degli anni, ed oggi è bastato un incontro ad una lezione di Yoga per riempire la testa di domande, alle quali probabilmente non troverò altro che una risposta variabile nel tempo.
Dopo una lunga sessione di Pranala, ho incontrato una signora Italiana. Il volto di una persona che ha scavalcato il mezzo secolo, il fisico di chi ha combattuto molte guerre, gli occhi di chi ha scattato diversi volti. Una di quelle persone che parlano senza bisogno di parole. Un fascio di nervi e muscoli in una figura minuta, che senza una logica connessione, mi ha portato alla mente i cercatori d'oro.
Quattro chiacchiere informali davanti alla boccia d'acqua in uscita dalla sala eppure è bastata la domanda più diffusa da queste parti "Quando rientri a casa" e boom! arriva la locuzione pronta ad attivare le sinapsi ed a mettere in dubbio le piccole certezze odierne.
"Resto fino a fine Maggio, ma poi non so. Ora che non ho più nessuno al mondo, non ha molto senso tornare per forza. Posso scegliermi la meta."
Improvvisamente mi sono resa conto che il mio viaggiare, muovermi, scoprire altri mondi è sempre stato una scelta. Anche nei suoi momenti più dolorosi, quando mi sentivo sola, non lo sono mai stata veramente.
Al chè mi chiedo: ma se è vero che casa è dov'è il cuore, dove risiedono le persone che non hanno più nessuno al mondo?
Come si trova la felicità o la serenità quando sappiamo che l'unica persona che ci starà vicino fino alla fine, siamo noi?
Com'è realmente la vita quando la si affronta da soli? Che poi, si è veramente soli quando si perdono contatti di "sangue" che ci sono stati dati geneticamente oppure non si è soli mai, in un mondo di sette miliardi di individui?
Questo pensiero ha sbaragliato i pensieri di delusione nei confronti dell'umanità con i quali mi ero trovata ultimamente a confrontarmi spesso nelle ultime settimane. Passeggiando fra l'attualità, la fantapolitica e i cortili virtuali di gente transitata per la mia vita quel poco che è bastato ad escluderli dalla mia piccola ma fitta cerchia.
Improvvisamente mi sono resa conto che per quanto viaggi, per quanto esplori il mondo, casa resterà sempre quel piccolo angolo dove si trovano le persone che fanno la tua vita, rendendoti quella che sei oggi, riempiendo le tue giornate di calore ed affetto e che riescono a seguirti anche se fisicamente sono a decine di migliaia di chilometri.
Non so che cosa significhi essere soli al mondo, probabilmente non lo saprò mai.
E forse proprio per questo ringrazio di fare parte di una grande famiglia, di sangue e non. Particolare e folkloristica, dove ci si scontra e confronta. Ma che so, che comunque vada, avranno sempre una tazza di caffè pronta per me e quattro chiacchiere da condividere.
L'importante è avere qualcosa per cui ringraziare. Ed io, fortunatamente, fin troppi motivi per farlo. 

martedì 24 febbraio 2015

Our work is changing.

Non ho il copyright di questa frase, per quanto potrei tranquillamente attribuirmene la maternità per tutte le volte che l'ho pensata, esposta e tentato di far capire ad interlocutori disinterssati.
Sono quasi quattro mesi di nomadismo, di lavoro in uno spazio di Co Working e di inserimento in una società agli antipodi dei paramentri italiani. Quattro mesi in un ambiente multiculturale fatto di persone che si nutrono di curiosità, che investono tempo e dedizione in progetti studiati con tutta la professionalità del caso. Quattro mesi in un mondo fatto di sogni che non dormono nel cassetto, di progetti che non si accantonano per paura, di preghiere Hindu alla statua di Ganesha che protegge la casa, di meditazione e di introspezione nelle sedute di Yoga, di risate e di abbracci sinceri e svariate ideologie lanciate nel calderone di sentimentimenti e relazioni momentanee quanto profonde con stranieri che senti un po' famiglia, un po' parte di te.
Quattro mesi dopo smetti di comprendere e giustificare chi passato il giro di boa dei trenta, non ha ancora il coraggio di alzarsi in piedi, far sentire la sua voce, affrontare la propria vita ma caccia la faccia nel cuscino dell'infanzia mentre la mamma accarezzando la testa ripete che andrà tutto bene e non è da solo.
A questo punto del mio viaggio mi chiedo perchè si sprechino gli anni migliori sguazzando nell'infelicità.
Abbiamo tutti un bagaglio di scuse sul groppone per giustificare la qualità insoddisfacente della nostra vita, con le quali ci addobbiamo quotidianamete, invece che riempirci le tasche di energia e affrontare le situazioni con entusiasmo.
Rianalizzando la mia collezione di fallimenti, umani, emotivi e professionali, mi rendo conto che l'unica responsabile delle proprie azioni sono sempre stata io.
Non è colpa della persona con cui la relazione sentimentale, sia essa amore o amicizia, è fallita. Sono stata io che ho infilato la testa sotto la sabbia, mi sono raccontata favole auto assolutive per evitare di affrontare il problema in tempi brevi, per codardia e mancanza di coraggio. Non è colpa dello stato se non ho una stabilità economica, vivo in uno stato guidato da un governo corrotto ed assolutista, che spesso spadroneggia concentrando buona parte dei beni economici nella capitale e lasciando alla mercè dei propri problemi sociali il resto dell'arcipelago, provvedendo addirittura a soffocare violentemente eventuali rivolte sociali. Eppure, questo angolo penalizzato dell'arcipelago mi insegna ogni giorno nuove lezioni. Innanzitutto, che ognuno costruisce il proprio destino senza attendere dall'alto soluzioni. Sono poche le caste che si possono permettere l'accesso alle sovvenzioni statali, tuttavia ognuno nel suo piccolo crea la sua piccola fortuna. In un Warung dismesso, portando a spasso pasti sulla testa da vendere a chi lavora e producendoli di notte, investendo nella costruzione di più strutture per ospitare turisti, creando tour per l'isola. La cosa sconvolgente che ho notato qui è che una popolazione dall'infimo livello di scolarizzazione, spesso anche in età molto avanzata, impara le lingue necessarie per portare avanti quello che sanno fare. Che sia l'inglese, il giapponese o il cinese, si lanciano a capofitto nell'apprendere rudimentalmente chiavi di comunicazioni universali. Mentre noi, dall'alto della nostra cultura sviluppata,di rado affrontiamo lo scoglio di un'altra lingua cercando la via più semplice anche per le vacanze.
Un'altra grossa lezione mi è stata data nel weekend trascorso, quando suggerendo ad un amico del luogo l'idea per un nuovo business, che sarò lieta di supportare, la sua prima affermazione è stata: "Ho bisogno di tempo per costruire un team." Individualismo di matrice occidentale contro l'alveare asiatico. Chissà chi ha ragione. Forse è vero che nel vecchio continente il benessere ha raggiunto livelli molto più elevati, ma è vero che in un Asia abituata a combattere con tragedie geologiche ed epidemiche, rivolte intestine e spesso occupazioni, ad oggi sembra avere maggiore stabilità e reggere meglio l'impatto della crisi globale, divenendo una delle poche oasi depression free, dove la crescita aumenta anzichè diminuire. Sarà forse il caso di smettere di mangiare tutte quelle torte, che poi ingrassano e causano problemi cardiovascolare ed iniziamo a dividerle con la nostra comunità.
Il titolo di questo articolo è in una tabella di legno pirografata, all'interno principale di Hubud, il mio ufficio balinese.
Forse sia il caso di percepire la crisi come un cambiamento anzichè una depressione e di affrontare la dolorosa politca nazionale ed internazionale come un'occasione per cercare il nostro posto nel mondo?
Qualche giorno fa, mentre studiavo per la redazione di un contenuto per un mio cliente, mi sono trovata a leggere la storia della Vespa. Il simbolo del design italiano nel mondo, attualmente esposto al MoMA di New York e noto al mondo intero, non è nato in un periodo di placido benessere. Fu subito dopo la Seconda Guerra Mondiale che Enrico Piaggio si trovò ad affrontare la depressione di uno stato dopo una delle peggiori piaghe umane e ovviamente un business in decrescita visto che il potere d'acquisto era crollato. Non aspettò però momenti migliori, non si rintanò nel suo porto sicuro. Decise di produrre un veicolo alla portata di tutti, di larga diffusione. La cosa che forse non tutti sanno e che ho piacevolmente scoperto è che il prototipo della Vespa fu un flop e i primi pezzi vennero accolti negativamente dal pubblico. Nonostante ciò, investì ciò che aveva in una catena di montaggio, perfezionò il modello, chiese un appoggio commerciale all'allora salubre Lancia e il suo audace, per i nostri tempi forse folle giocarsi i tutto per tutto creò quello che oggi è noto in tutto il mondo.
E' forse dunque arrivato il momento di rimboccarsi le maniche e smettere di piagnucolare cercando soluzioni reali, smettendo di sopravvivere in attesa del miracolo?

lunedì 23 febbraio 2015

Yummi Time

L'Asia è una festa continua. Dai colori della frutta e delle piante tropicali ai suoni dei tempi e delle loro infinite celebrazioni o dei coloratissimi mercati rionali fino ai profumi ed i stravolgenti sapori del cibo.
Il cibo è uno degli aspetti più caratteristici di questo continente e non c'è viaggio o vacanza che non può essere immortalato nella memoria attraverso questi piccoli bocconi di paradiso, presenti tutto il giorno ovunque. Una volta effettuati i vaccini per l'epatite alimentari e stampata l'assicurazione medica internazionale, lasciate da parte i pregiudizi per tutti i posti apparentemente lontani dai canoni ferrei dell'HACCP e lanciatevi in questo party di sensi che resterà nella vostra memoria per il resto dei vostri giorni.
A Bali buona parte del cibo è in movimento costante. A bordo di scooter , spinti a mano o trasportati in testa in cestelli di plastica, ogni città e paesino è invaso letteralmente da questi carrellini coperti che producono pasti all'istante. Ognuno è specializzato in una ricetta particolare e dopo qualche settimana a Bali sai che basta stare fermo ed il cibo arriverà. La prima regola dello street food è : Take it easy. Non vedete subito pericoli di intossicazione alimentare, salmonella ed altri demoni in questi venditori. Innanzitutto appena vi avvicinerete un po' scoprirete che la maggior parte dei piatti è a base vegetariana. Secondo, tutto viene spesso fin troppo cotto, debellando quindi qualsiasi eventualità di sopravvivenza di virus e batteri. E per quanto riguarda il tasto dolente della conservazione degli alimenti, non vi preoccupate: la maggior parte dello street food è fatto il giorno stesso al massimo la sera prima e non ci sono molte possibilità di conservarlo. Come mi disse il proprietario di un piccolo Warung vicino a Candidasa: "non abbiamo i frigoriferi quindi compriamo solo la quantità di pesce e merce deperibile che prevediamo di consumare. Se ne avanza, la sera tiriamo fuori il BBQ e il compound fa festa." Se non è nel vostro interesse passare 24h incollati alla tazza, è ancor di meno nell'interesse del venditore che sotto il sole o la pioggia passa da un quartiere all'altro o delle Ibu che passano le ore su di un bemo a portare i loro cestini con il cibo che hanno passato la notte a cucinare per portare a casa la pagnotta quotidiana.
Una volta superato lo scoglio psicologico, cambiate le vostre banconote in basso taglio ( i prezzi dei pasti oscillano fra le 2.000 e le 20.000 rupie. Il tasso di cambio è approssimativamente 1 Euro = 15.000 Rupie), per non aver problemi con i resti e preparatevi a sorprendere voi stessi in questo valzer dolce e salato, dall'alba al tramonto.
Se passeggiate la mattina per un qualsiasi market rionale, non mancate di far colazione o spuntino con dei deliziosi Jajan.
Troverete delle solitamente anziane signore, sedute su qualche gradino, con il loro cestello e questi piccoli bocconcini verdi di paradiso. Anche le maniache della dieta se ne concedano qualcuno senza remore. Palline, ciambelline o gelatine di farina di riso o amido di riso aromatizzate al pandano, cotte al vapore o alla piastra, che vengono annegate di sciroppo di palma e cocco grattato spesso sul momento. Si, preannuncio che la Ibu che incontrete non indossa i guanti in lattice ma siete vaccinati e pieni di vitamine come un multicentrum, se vi fermerete alle apparenze perderete dei piccoli bocconi di paradiso (che per inciso, mangerete anche voi con le mani.). Se invece non riuscite a decidere fra il dolce e il salato il Tipat Tahu è quello che fa per voi: bocconi di riso pressato a panetto, tofu, germogli di soia il tutto condito con la salsa nazionale di arachidi e la salsa di soya. Attenzione, se alla domanda "spicy" risponderete si, quasi sicuramente un peperoncino verde notevolmente piccante verrà tagliato al momento sul vostro piatto. Se non siete degli amanti del piccante evitate. Per gli amanti della carne ci sono svariate alternative: dalle bancarelle che vendono solo pollo fritto migliore del KFC al celebre Bakso, che significa polpette, spesso servito in una sorta di Ramen con tagliatelle di riso, verdure ed una cucchiaiata del brodo in cui vengono bollite al momento stesso in cui lo ordinate. Questo ammetto è uno dei pochi street food che non ho assaggiato, mi risulta difficile godermi una zuppa quando la temperatura media è di 28 gradi, ma sicuramente prima del mio rientro nel vecchio continente, in un giorno di pioggia o verso sera, ci proverò.Anche se non appartiene propriamene allo street food in quanto lo potrete trovare solo nei Warung, merita di essere citato il Babi Guling. Un maialino da latte intero, allo spiedo, speziatissimo. Spesso servito con la sua croccantissima cotica ed altre parti. Sarà che da veneta sono stata cresciuta con la frase "del maiale non si butta via niente." oppure che in sette anni in Grecia ho trovato deliziosi piatti come la zuppa di frattaglie di Pasqua o zuppe di origine ottomana a base di cervello, o di altre parti un po' taboo, ma il Babi Guling è un'esperienza che non si può perdere! Vi consiglio inoltre di evitare il rinomatissimo Ibu Oka in centro ad Ubud, decisamente sovrapprezzo e di cercare una bettolina in qualche paesino oppure in periferia a Denpasar. Riconoscerete i Warung specializzati dall'immagine del maialino sulla tabella o dalla testa del maialino esposta. Se avete amici o compagni vegetariani, teneteli lontani. Lo snack nazionale invece, sembra essere il Gorengan.
Piccoli sgabbiotti in cui troverete di tutto e di più, fritto. (Goreng difatti significa sia "saltato in padella" che "fritto".)
Nei Gorengan si troverà di tutto, dolce o salato, banane, pane, tofu, tempeh, involtini primavera (che qui si chiamano lumpia) e verdure di vario tipo. Tutto pastellato e rigorosamente fritto. Se scegliete la versione dolce, il cocco e lo zucchero di palma accompagneranno il vostro spuntino, mentre se scegliete il salato la salsa di arachidi avrà la meglio. Passeggiando inoltre incontrerete in diversi punti della gente che sembra quasi finita li per caso, anche se di casuale per un Hindu animista Balinese non c'è nulla, che con una piccolissima griglietta rudimentale e braci di cocco essicato, stanno preparando quello che è un'altro snack nazionale: il Satay. Mentre in un ristorante ne avrete un paio, notevolmente sovraprezzo, per strada potrete addirittura uscire con un pacchettino di 10 o 15, accompagnati da riso e salsa di arachidi. Piccoli spiedini di carne, tofu o pesce, fatti al momento. Una delizia.
Ma quando la fame si fa importante è ora di far sul serio. A quel punto o ci si catapulta in un Padang, ristorantini gestiti da migranti di Sumatra riconoscibili da i piatti e le pietanze rigorosamente in vetrina, oppure ci si ferma nei piccoli street food station. A Penestanan, il mio quartiere, c'è n'è uno proprio a pochi metri da casa mia. Rispettando il concetto dello stand, questo è però stabile, gestito dalla famiglia che vi abita dietro ed offre piatti diversi dalla mattina alla sera. Da pollo in tutte le salse, curry, salsa rossa, stufato, fritto o piccante a tofu, tempeh, verdure varie cotte in modi diversi ogni volta ( una delle mie grandi passioni è la melanzana, che mi friggono al momento senza nemmeno la pastella.), frittelle di mais o di patate, pesce fritto o al forno. Uno street food station è come avere la mamma che ti prepara da mangiare ogni giorno, soprattutto dato che i titolari nonostante il gran passaggio si ricordano di te, ogni sera chiacchierano con te e ti consigliano i menù per non mangiare sempre le stesse cose.
Ci sono infiniti altri street food a Bali ed in Asia, come avrete letto nei miei articoli su Singapore e KL. E ho dovuto sintetizzare perchè nonostante abbia pranzato regolarmente, questo articolo mi sta facendo tornar fame e temo che un salto all'Ubud Market per un Tipat Tahu o un Gorengan non me lo toglierà nessuno.
Ma l'amore passa per lo stomaco e non mi sarei mai potuta innamorare di uno stato senza esplorare senza limiti la sua meravigliosa cucina. Per quanto sia povera e semplice, senza ricerca o visual merchandise.

La bellezza a Bali si nasconde nel contenuto e non nella forma.

Per chi volesse saperne di più, vi invito a visitare e se volete iscrivervi a questo Gruppo su Facebook. Ideato da locali ed expat, ospita migliaia di viaggiatori, innamorati dello street food e della cucina folkloristica di questa meravigliosa isola. Come potrete notare tutte le foto in questo articolo sono state riprese da li.
Abbiate pazienza: quando mangio molto molto raramente penso di scattarne una foto prima. Sono troppo impegnata a godermi il momento!

martedì 17 febbraio 2015

Cellar Door

La vita di una Start Upper è fatta di porte.
Solitamente sbattute in faccia, ripetutamente. La vita è un osso duro e la predominante che differenzia l'enterpreneur (imprenditore ndr.) dal colletto bianco è la resistenza alle scornate contro le porte per procacciarci il cibo quotidiano.
Mi rendo conto che chi segue il mio blog da un triste ufficio e magari mi legge in un'insipida pausa pranzo senza carboidrati per mantenere la linea crede che la vita di noi nomadi digitali/freelance/startupper sia fatta di party, feste, cocktail e ore di infinito cazzeggio. Purtroppo devo sfatare il mito.
Nonostante provveda a riempire questo spazio virtuale di immagini divertenti e positive, vi assicuro che buona parte della mia giornata è fatta da me, che mi appiattisco le chiappe già flaccide di natura, partorendo preventivi per clienti che scelgono molto spesso la soluzione più economica.
Come in tutti gli ambienti, anche nel mio, la crisi porta a galla infinite professionalità che pensano bene di spuntarla abbassando i prezzi a livelli ridicoli. Quello che il cliente non sa, tuttavia, è che insieme al prezzo si ribassa notevolmente anche la qualità del servizio erogato ed è idiota pretendere di avere una Cadillac al prezzo di una Y10 perché tanto c'è crisi.
Se quando lavoravo dal mio eremo piacentino ogni porta sbattuta in faccia vibrava in ogni cellula riempiendoti di domande sulla tua reale capacità. competenza e soprattutto l'esistenziale quesito: sto facendo la cosa giusta? Da quando sono arrivata ad Hubud ed ho cominciato a cacciare le mani nel mondo dei freelance, ho scoperto che anche la loro vita è fatta di porte. Sbattute. Spesso prima ancora di ricevere una proposta.
Qualche giorno fa ho finalmente avuto modo di stringere la mano ad Alex, un francese che da settimane sentivo tenere chiamate skype infinite verso tutto il mondo r promuovere la sua impresa.
Ogni giorno, senza sosta. Decine e decine di telefonate al giorno. Molte delle quali finiscono alla prima battuta di presentazione, senza dar lui modo di approfondire. Mi chiedevo che razza di forza si nasconde in questo uomo, che se trova un paio di realtà ad accettare la sua proposta commerciale a fronte di quasi un centinaio di chiamate, è da considerarsi un successo. Eppure passeggia con il suo Mac per il cortile, chiama ed ogni chiamata sorride.
Quando ho avuto modo di stringergli la mano, con la sfacciataggine che mi contraddistingue, gli ho detto: Ma io ti conosco! Tu sei il titolare di xxxxx ti sento ogni giorno chiamare decine di persone. Sei il mio modello nei giorni bui.
Ho scoperto che Alex ha una famiglia e due figli, ma non si fa vincere dalla paura di una mensilità incerta. Continua a bussare, consapevole che prima o poi qualcuno apre.
Così mi sono chiesta: è meglio una vita di porte a cui bussare oppure la certezza di un "nido" lavorativo noioso ed abituale? Perché siamo sempre insoddisfatti?
Si forse era meglio cercare di spiegare l'etica della questione palestinese. Ma si sa che fare il funambolo sui massimi sistemi è da sempre una delle mie attività preferite.
Fra il vagabondare da un mondo all'altro, quello che sempre di più si fa certezza è che il concetto di sicurezza è inversamente proporzionale al "benessere" dell'ambiente circostante. Assurdo vero?
Come ho avuto modo più volte di spiegare, la semplificazione delle condizioni di vita di un popolo li porta ad abbassare la stanghetta tornasole della "felicità" aumentandone così le percentuali.
Ma questa volta non prendi a paragone quell'umanità che non ti è congrua ma persone come te, che combattono la propria battaglia per una vita tagliata e cucita su misura. La cosa strabiliante è cambiare la prospettiva e capire come quello che ti è stato passato come "incertezza" per molte menti sia "opportunità".
Allora forse è li che sta il segreto. A farsi i calli sui bernoccoli delle porte chiuse in faccia. A cercare senza perdere la fiducia, guardandosi spesso alle spalle e ripetendosi che se ce la si è fatta fino a qui,non potrà che andare meglio da qui in poi.
Non tutte le porte si chiuderanno.
Continuare a bussare, senza fare passi indietro.

Quando ho scritto la prima frase di quest'articolo, la prima parola che mi è venuta in mente è stata "cellar door". Definita la parola più bella della lingua inglese per il suo suono, senza bisogno di applicare un significato.
Forse è per questo che resto un'utopica idealista. Continuo a scovare magia nelle parole e a credere che un mondo diverso è possibile.

E dietro ad ogni porta chiusa c'era semplicemente un mondo che non valeva la pena di esplorare.

mercoledì 11 febbraio 2015

Io non ho paura.

Pur vivendo in una bolla, lontana migliaia di kilometri dalla miseria della crisi e dal terrorismo mediatico, seguo incessantemente le notizie provenienti da casa. Io di case ne ho due: una di mattoni stabile ed immutabile con l'andare degli anni, forse un po' posh, che mi ha vista nascere ed imparare come funziona il mondo, fra stabilità e circoli viziosi che spesso si intrecciano perdendo i confini e si chiama Italia. La seconda è un calderone che ribolle senza sosta, fatto di sogni e del sale del mare più blu che abbia mai visto in Europa, di un bagaglio storico importante e di una corona sempre più pesante di spine ed allori che risponde al nome di Ellade.
Non sono esente da crisi, sono un minimi, grava sulla mia testa la spada di Damocle delle tasse che cambiano come l'umore di una donna in PMS, ma la vita è arte e se si vuole osservare un quadro in tutti i suoi dettagli a volte è saggio fare qualche passo indietro e prendere le giuste distanze.
Dalla giusta distanza vi posso dire che a me la crisi non fa paura.
Non mi spaventa non avere certezze riguardanti il mio posto di lavoro, il mio conto in  banca, la mia pensione che non arriverà mai.
Non temo di non poter mai prendere un mutuo per comprare casa, non ho bisogno di una macchina costosa o di abbigliamento di marca che non mi potrò permettere. Non sono frustrata all'idea che a quasi trentadue anni non ho nulla di certo se non questi circa sessanta chili che mi porto a spasso fra un continente e l'altro, qualche sinapsi in più di quando ero più giovane e lo stomaco in panne se la sera prima faccio la splendida al ristorante indiano chiedendo un pasto molto spicy.
Quello che mi fa paura è il pressapochismo della mia generazione. Tremo ogni volta che sento pareri letteralmente defecati con estrema certezza su questioni di cui si ha una blanda infarinatura generale. Mi spaventa la poca voglia di cambiare, che vedo nelle persone. Tutti ripetono di volere un mondo migliore, ma lo attendono nella loro comfort zone, lagnandosi ma non prendendo in mano il volante. Ho paura ogni volta che una persona dichiara di non prendere posizione "perché tanto sono tutti uguali" senza nemmeno curarsi di avere un'idea dettagliata di chi stanno rinnegando. A volte mi sento di vivere in un limbo, una gigantesca sala d'attesa dove tutti attendono un domani migliore e nessuno se lo va a prendere.
Mi chiedo perché.
Com'è possibile che i figli della generazione che ha fatto il sessantotto non ha il coraggio di alzare la voce? Perché nella nostra vita le cose fondamentali sono gli sfizi, i gadget, il "sembrare" qualcuno invece di vivere in modo lineare? Da quando le bugie per quieto vivere fanno parte del lessico famigliare, le famiglie sono società per azioni e ci si lascia e si prende in base alle disponibilità economiche e ci si innamora su modello McDonald, tutto e subito e il cestino pieno di scarti?
Quando abbiamo smesso di credere in un mondo migliore?
Leggere le notizie diventa un processo sempre più doloroso. Affrontare questa folla di musi lunghi e rabbia, folate di calunnie e malignità, sensibilizzazione limitata ai propri simili e totale insensibilità ai morti di un dio minore.
A volte piango, nel leggere i commenti alle notizie.
Vorrei prendere a pugni tutti quelli che insultano la mia seconda casa, il mio secondo popolo, dalla loro comoda seggiola senza avere un'idea di quanto ingiusti siano stati questi cinque anni e di quanto abbiano violentato la loro natura conservatrice per alzare la testa.
Piango quando leggo sentite condoglianze per i morti al truce attentato francese e quando la notizia di centinaia di profughi morti di freddo annegati vengono commentati con un "meglio così, meno bocche da sfamare.".
Mi si contorcono le budella quando vedo che le vite umane vengono pesate e vendute in base alla bandiera dello stato, quella politica o quella religiosa.
E pensare che il mondo andrà avanti senza di noi in men che non si dica e noi abbiamo trascorso gran parte della nostra vita incazzati con qualcuno o qualcosa…
Quando ero bambina avevo un sacco di sogni. Credevo ai folletti dispettosi che mi nascondevano le cose in camera, anche se ammetto che a quello credo ancora. Alla fatina dei denti, a Babbo Natale, che le nuvole fossero di panna montata e la luna di pan di spagna. Credevo che un giorno avrei trovato un villaggio fatto di caramelle come Hansel e Gretel, che sarei stata in una gigantesca sagra paesana in centro USA a mangiare tiramolle appena fatte e che un giorno avrei nuotato in un mare pieno di pesci ( e credetemi, chi ha vissuto il nord adriatico negli anni post petrolchimico sa che questo è pari a sognare una partita a briscola con un alieno).
Alcuni si sono avverati, altri sono stati sfatati dalla scienza e da noiose persone adulte , anche se per me le nuvole restano di panna e la luna di pan di spagna.
Ho cambiato sogni, crescendo sono cresciuti con me. Ma non ho smesso un solo attimo di essere un'irrimediabile idealista, per molte persone utopica.
Il mondo non è stato cambiato dalle api operaie. Ogni grande rivoluzionario, scienziato o pioniere del passato si è sentito sicuramente dare del folle quando con quello strano scintillio negli occhi, come se stesse presentando il suo capolavoro, annunciava la sua scoperta.
Eppure la storia ha dimostrato che sono stati questi i personaggi che hanno cambiato il corso degli eventi.
La mia vita qui non è fatta solo di noci di cocco, di ottimo caffè e pasti succulenti.
Passo la maggior parte della mia giornata facendo quello che mi sono promessa quando mi sono cacciata trenta chili di zaino in spalla: imparare. Seguo corsi, parlo con persone, osservo un mondo che non avrei mai immaginato restando a casa e che il NatGeo e Dmax non hanno mai passato. Seguo workshop e corsi, mi specializzo in sempre più settori.
Non ho paura di tornare a casa ad affrontare la mazzata di tasse che mi attende. Ma ho paura di rientrare e trovare davanti a me ancora una volta l'ipocrisia di un mondo di polistirolo e HACCP, di sorrisi di circostanza e di vuote chiacchiere da bar. Oramai nella mia vita colleziono eccezioni e sempre più spesso sotto la forma di sorrisi ed abbracci sinceri, di chi non ha nulla da guadagnare da te, ma inevitabilmente ti vuole bene. Nel bene o nel male.
Leggo sempre le notizie da casa, pur consapevole che il mondo intero è casa mia.
Sono Italiana, sono Greca, sono Indonesiana, sono Ebrea, sono Palestinese, sono Indiana, sono Americana.
Sono umana.
Non ho paura di una crisi economica. La carta stampata non mi può spezzare il cuore.
Ho paura di una crisi umana. Questa non sono capace di affrontarla, va ben oltre le mie capacità.
E continuerò senza sosta a cercare idealisti, sognatori, moderni Quijote con il loro fido destriero, pronti ancora una volta a dimostrarmi che questo pianeta ospita dei meravigliosi esemplari.

Oggi non pubblicherò una foto scattata da me, ma pubblico un'opera d'arte, perché tale è, che mi sono tatuata poco fa. La spettacolarità di Banksy, a mio avviso, sta nell'essere il Little Black Dress dell'ideologia contemporanea.
Ho trovato in me molto più di quanto mi aspettassi in questo artista ed in questa immagine, al punto che, l'ho eletta simbolo alla creazione della mia impresina e di me in questa fase fondamentale della mia vita.



martedì 10 febbraio 2015

Life is a Beach


Tre mesi in Asia e ti senti cambiata, forse migliore.
Hai ancora le crisi da "bonifico in ritardo" che ti mettono in stand by per settimane, ma provi ad affrontarle con maggiore serenità e a smaltirle più in fretta. Magari aiutandoti con qualche lezione di yoga. Hai smaltito i kg del mondo dell'abbondanza, dove mangiare non era più una necessità ed evitare le sembianze di un parallelepipedo era una delle fatiche di Ercole. Hai imparato ad affrontare gli inconvenienti della "simple life" come le colonie di formiche che ti invadono la cucina, i  gecki che la notte ti sbraitano sulla testa o perdere un treno perché hai sottovalutato le tempistiche.
E poi arriva una domenica come tante, dove per cambiare un po' aria, salti sullo scooter alla ricerca di mondi diversi e tutte le tue certezze vengono spazzate via.
Si chiama Uluwatu, si trova all'estremo sud dell'isola ed è un complesso di barettini, bettole e negozietti graziosamente arroccato sulle rocce e le grotte che portano in uno dei piccoli paradisi Balinesi. Non è una di quelle spiagge alla Rimini, dove vieni viziata e coccolata, ma una selvaggia piccolissima lingua di sabbia grossolana color oro, riparata da grotte porose che ti sgocciolano sulla testa. Ed è li che il tuo ego si prepara ad essere ribassato e le tue crisi esistenziali si impenneranno.
A parte qualche turista capitato per caso, che come te è in contemplazione come ad un Safari in Kenya, le criniere ondeggianti riflesse sull'oceano indiano sono quelle di un Ken dotato di sistema circolatorio e sessuale. Surfisti. Fichi.
Che il Surf sia una di quelle attività che ti renda un manzo da copertina oppure una gnocca dagli addominali scolpiti ed i glutei degni di un bronzo di Riace, s'era capito prima delle mie dis-avventure sulla tavola. Infondo se Kiedis si mantiene così nonostante la sua vita da rockarolla alle soglie dei cinquanta mentre tu al primo Asana che richiede qualche muscoletto in più tremi peggio delle mani di un malato di Parkinson, un motivo ci sarà.
Dopo aver sperimentato sulla mia pelle ed in ogni singolo strato della mia adipe il surf, versione for dummies, posso assicurare che il giorno dopo sembravo Forrest Gump nella preadolescenza.
Il surf è innanzitutto equilibrio, dicono.
Sticazzi, dico io!
Una che fa Yoga, ha anni di contact alle spalle e diverse coreografie se la dovrebbe cavare bene. Invece no! Perché purtroppo non è che ti metti in piedi sulla tavola e trainato da una forza invisibile come un postmoderno Cristo Australiano volteggi sulle onde in cerca di quella adatta.
Non sia mai.
Ti devi stendere su quella maledetta tavola, nuotare fino ad arrivare al punto in cui le onde sono "il giusto" per essere affrontate (non so voi ma nemmeno nelle lezioni più hard core di Hatha avevo percepito lo sternocleidomastoideo!) a quel punto devi guardare verso l'orizzonte (maledette tavole senza specchietto!) e quando "senti" che arriva quella giusta a quel con uno scatto felino (tranne me che sembro un chihuahua isterico sbracciante in una pozzanghera.) ti volti ed HOP leva sulle braccia (nel mio caso di gelatina) colpo di addominali (vedi cap. braccia) e sei in piedi!
Si direi che a suon di parentesi ho reso l'idea. Aggiungete svariate escoriazioni per tutte le volte che si crasha a riva peggio del 4s e ci siamo.
Invece loro no, loro sono degli angeli, che ondeggiano su onde importanti e le cavalcano con glorioso orgoglio!
Come fanno queste creature del cielo, così rare, ad essere fra i pochi eletti in grado di sfidare temerariamente gli oceani, scofanarsi burger come se fossero patatine con patatine ovviamente, dissetarsi a suon di birra eppure con il sorriso sulle labbra imburrate attraversare queste onde mentre tu a stomaco pieno trovi difficoltà a passare da un divano all'altro?
Dedizione è  la parole chiave che descrive dettagliatamente questo nodo di muscoli e sorrisi Aquafresh. Non ho ancora incontrato un fisico quantistico, un ingegnere nucleare e men che meno un programmatore che sfidano le onde con destrezza e nelle loro pause ti raccontano la loro carriera nella NASA. La tavola è un'amante gelosa e richiede gran parte della tua giornata, per svegliare addominali, braccia, gambe e glutei, lavorare sul baricentro, ottenere la giusta agilità ed entrare in connessione con le onde percependo quella giusta. I muscoli richiedono tempo ed esercizio, il SF nonostante le sue mille doti non dispone se non di giornate di 24h come tutti i gelatinosi comuni mortali, ed ovviamente incastrare il tutto con l'amore per il codice HTML o la rivoluzione russa risulta un ossimoro.
Forse è per questo che il Surfista Fico, che verrà definito d'ora in poi SF per comodità (o pigrizia, ma chi sto prendendo in giro, io sono brava a mangiare patatine davanti all'ennesima replica del mio PC dei Monty Pythons!) è strutturalmente incompatibile con la maggior parte dei modelli di Femmina che circolano indisturbati.Tutte abbiamo una tartaruga in collezione, di cui vantarci con le amiche e di cui custodiamo gelosamente la foto per le chiacchiere deprimenti dei periodi di magra con altre affamate come te. E' esotico, come il bastone della pioggia che hai comprato in quella sagra e non sai che minchia fartene se non spolverarlo. Così come ogni maschio che non sia la versione italica di Quasimodo ha una Barbie da sbandierare agli amici il venerdì sera in birreria, con scheda illustrativa e servizio fotografico già impaginato da Facebook. 

Quello che non si dice, di solito, è che tutti i SF e le Barbie sono i così detti modelli "virus intestinale". Durano non più di 24-48 ore, passata la fase acuta si torna lentamente alla realtà e si comincia a trovare questi modelli da prima pagina dei migliori magazine da aeroporto dannatamente noiosi. Non avrai facilmente la possibilità di discutere con loro della questione cipriota (si effettivamente, un interlocutore competente a riguardo è raro anche nel mondo dei modelli imperfetti. Tranne a Cipro!), non capiranno le tue citazioni di Woody Allen, se li porti ad una mostra di Pollock sosterranno che loro avrebbero imbiancato meglio e i Reality Show sono il loro concetto di cultura generale ed attualità. In men che non si dica capirai di avere davanti un perfetto involucro dalla sostanza incompatibile a te, omuncolo o femminuccia del mondo comune e noioso.
Che poi diciamocelo,  mica è colpa loro! La bellezza è l'unica dote che non dev'essere dimostrata. Il tuo acume non è altro che il metodo che hai per non estinguerti nel mondo della selezione naturale, la tua ironia la tua arma speciale per attirare individui del sesso desiderato senza basarti sul primo sguardo e il tuo stile fra l'Hipster e il Boho Chic il tuo modo di riciclarti nel mercato per non restare sugli scaffali.
Ed è per questo che il SF e la Barbie sono la coppia perfetta! Nel loro ambiente anglosassone saranno sicuramente stati il re e la regina del ballo di fine anno. Sono belli, sorridenti, invidiati e straordinariamente felici.
Questo è il punto che mi causa genuina e sana invidia per queste categorie.
Non una tartaruga su cui ci posso grattare il cacio da mettere nella carbonara. Non le tette che sfidano la gravità mentre le tue sfidano la prova matita con il sei giusto per bocciare, ma rimando a settembre. Non il culetto a mandolino senza un filo di cellulite( ok, io donna agrume ammetto che un po' si, quello lo invidio.).
La loro innata e perpetua spensieratezza.
I SF e le Barbie sono i Peter Pan dell'epoca contemporanea. Nessuno di loro sta appiattendo il loro epico fondoschiena su di una seggiola partorendo funamboliche sinapsi a riguardo. Probabilmente sono ancora in spiaggia, a farsi baciare dal sole o dall'oggetto del proprio affetto, a sfidare le onde o i carboidrati, a prepararsi per il prossimo pool party anche se alla fine sono gli unici che con un solo costume addosso fanno una figura perfetta.
Loro sono l'immagine della radiante serenità, che predichino pure le miei insegnanti di Yoga occidentali, dietro il loro apparente amore universale credo si nasconda la stessa faina isterica che possiede ogni donna in quei giorni del mese. E fanculo allo zen.
No, loro sono felici davvero.

Hanno imparato ad attingere al vero succo della vita e si ciucciano tutto il nettare senza preoccuparsi del domani. Godono di ogni singolo minuto, ora o giornata, consapevoli che le prossime saranno forse anche migliori.
Spesso non sono di famiglia ricca e vivono in alloggi spartani, progettati per farci stare a malapena la loro tavola e le loro chiappe nel lettino modello super base, non hanno quasi mai acqua calda perché temprati dall'oceano e va bene così.
Mentre tornavo da Uluwatu rigorosamente in scooter, seguendo gli usi e costumi locali, con lo sguardo perso fra le palme e le risaie, mi chiedevo: ma come invecchiano i surfisti?
Credo che i surfisti non invecchino mai. Così come credo che nessuno invecchi quando il presente è migliore di qualsiasi aspettativa. Credo che la vita sia troppo breve per aspettare la pensione per fare quello che ci piace, qualsiasi cosa sia. Credo che l'unico debito in questa vita lo abbiamo nei confronti di chi fa parte del nostro mondo e non consiste nel creare un futuro migliore ma un presente di cui gioire. Rendere felici le persone che ci circondano e non caricarle di negatività e di cattiverie. Lasciarle andare quando sentono il bisogno di continuare la loro strada senza di noi. Migliorare la nostra e la loro esistenza attraverso l'unica cosa che ci appartiene: la capacità di rendere le loro giornate speciali.
No, non sarò mai una surfista e anche se diventassi anoressica non sarei mai una Barbie.
Ma qualcosa del loro colorato mondo me lo porto dietro e continuerò a passare le domeniche a guardarli volteggiare sulle spiagge più belle che abbia mai visto ricordandomi che il mondo è per chi sa esserne felice.

Anche se sarò sempre quella che si limita all'hamburger sul promontorio.

lunedì 26 gennaio 2015

The Passenger.

Con questo titolo vi sto facendo canticchiare Iggy e magari non capitava da un po', lo so.
Forse era proprio questo il mio intento, visto che ogni volta che mi metto alla tastiera una canzone in testa c'è sempre.
Ad Ubud è notte e mentre di solito a quest'ora attraverso la fase più profonda del sonno, questa sera il vecchio Morfeo ha deciso di farsi desiderare.
La vita nelle risaie è fatto da un soundtrack di rane, grilli, paperelle e altri animaletti che se la cantano indisturbati. Sembrano quei CD New Age, che ti fanno ascoltare nelle sedute di training autogeno. Ma non sono CD, è tutto live.
Non si percepisce una macchina. Non uno scooter. Ogni tanto qualche aereo, che vola basso abbastanza ma sembrano essere molto pochi in queste ore della notte.
Così, come da tradizione, mentre guardi la tenda rossa del letto a baldacchino, improvvisamente senti il bisogno di alzarti e di metterti a scrivere. Capita a tutti gli scrittori, dilettanti o meno. Mai che l'ispirazione giunga ad ore civili.
In questo concerto di grilli, rane e cavallette in una notte tropicale, il mio pensiero va ai viaggiatori.
Sempre più spesso le testate giornalistiche pubblicano articoli, storie di vita, di chi ha mollato tutto ed è partito. Aprire un bar ai Caraibi, insegnare immersioni in Thailandia, girare il mondo in barca o aprire un ristorante alle Samoa. Sotto ognuno di questi articoli centinaia di commenti stizziti, che all'unisono mostrano il loro disappunto con frasi del tipo: "Ce li avessi io i soldi!" "I soliti figli di papà!", accompagnati da quelli ancor più incattiviti come "Ma tanto tornano, ne conosco di gente che ha fallito ed è tornata con la coda fra le gambe."
Sarà l'effetto dell'Asia, un carattere privo di invidia forse per pigrizia, ma non riesco a comprendere come la scelta di vita di altre persone possa in un qualsiasi modo provocarmi sentimenti negativi.
Ho viaggiato per la maggior parte della mia vita adulta, o per lo meno mi sono trovata abbastanza lontana da casa ed immersa in culture che non mi appartenevano. Ho passato gli ultimi quasi nove anni a parlare lingue che non sono la mia lingua madre. Ho conosciuto tantissima gente di tutti i ceti sociali. Vi racconto qualcosa su chi sono i viaggiatori e perché hanno sempre quello sguardo placido
di chi è in pace con il mondo anche se stanno per mangiare dell'improbabile street food seduti su di un marciapiedi lercio in centro a Salonicco.
Il viaggiatore è quella persona che si allontana dalla sua comfort zone alla ricerca di un miglioramento delle sue condizioni di vita.  Non sempre sono dei poveracci, a volte non è la quantità di vita a mancarci ma la qualità. Viviamo in un mondo talmente complicato che solo una dose massiccia di semplicità ci riporta con i piedi per terra ricordandoci quali sono le cose che veramente contano.
I viaggiatori hanno sempre uno scopo, una meta. Ma la caratteristica comune a tutti i giramondo è che  nel corso del viaggio tutto si stravolgerà. II viaggiatore non è un ruolo da control freak, abitudinari e fanatici della routine. Un viaggiatore sa che quasi sempre i suoi piani sono destinati a fallire per colpa del tempo, degli scioperi , dei vulcani che eruttano inaspettatamente, dell'hotel che si perde la prenotazione, di un Escherichia Coli insolente di qualsiasi fattore fuori dal suo controllo. A questo fine tiene sempre un libro con se, magari un taccuino, per avere compagnia nell'ennesima notte in aeroporto letto o porto che sia.
I viaggiatori non sono soli, anche se viaggiano da soli. Si crede che chi viaggia per lunghi periodi non abbia una famiglia, degli affetti, qualcuno ad aspettarlo, ma non è così. Nessuno di noi è nato su di un albero ed è caduto a maturità raggiunta. Abbiamo solo degli equilibri diversi, un lessico famigliare differente, che ci porta a non aver bisogno di appuntamenti fissi per sentire la nostra famiglia parte della nostra vita. Con la tecnologia di oggi, da Bali, Roma o New York, lavorando un po' sui fusi orari, si ha una reperibilità del 100%. C'è sempre la possibilità di un biglietto di rientro last minute e ci siamo per la nostra famiglia quanto i sedentari che passano ogni domenica a pranzo.
Raccolgo magneti in ogni poso nuovo in cui vado, per mia madre che ne fa una collezione. Scatto una foto del quartiere e del punto in cui l'ho comprato. So che quando, fra qualche mese, saranno sul suo frigo, quei magneti non saranno solo degli addobbi, ma un pezzo di storia che hanno vissuto con me.
II viaggiatori non sono anime in pena, come spesso vengono definite le persone che compiono scelte differenti.
La maggior concentrazione di anime in pena che visto si concentrano fra le grigie mura degli uffici cittadini che si sentono troppo strette ma che hanno al tempo stesso paura di abbandonare, nelle linde e profumate palestre occidentali dove ci si ammazza per raggiungere una perfezione che non ci sarà mai, nei ristoranti HACCP dove se paghi trenta euro ti senti un eroe, nei bar dove si scambiano sempre le stesse chiacchiere e negli occhi di chi, anziché migliorare la propria esistenza, si applica costantemente nel rovinare quella altrui.
Le anime in pena urlano "Vorrei ma non posso." i viaggiatori sorridono " Voglio e troverò il modo per farcela."
I viaggiatori non sono degli approfittatori. Possono avere una manciata di euro nel portafogli, ma quello che hanno lo condividono.Una delle persone che sono più felice di aver incontrato qui, è passata da uno stipendio di tremila euro al mese a circa seicento. Non ha perso il sorriso un solo giorno. Quando è dovuto rientrare in Europa per le feste, aveva altre due settimana di una costosissima villa con piscina pagate. Ha lasciato la casa ad una ragazza che era appena arrivata e non ha chiesto un euro di rimborso.
"Nella vita a volte si da a volte si prende. Oggi è il mio turno di dare."
Al suo ritorno il suo budget era sceso vertiginosamente e non aveva idea di dove avrebbe passato i giorni successivi. Quella ragazza è tornata dicendogli che avrebbe dovuto rientrare a Toronto improvvisamente, e aveva un mese di un'altra casa favolosa già pagata. Quando lui ha fatto il gesto di pagare la differenza, lei l'ha tacciato con la sua stessa frase.
Un viaggiatore non è razzista perché ha passato i controlli d'immigrazione di diversi stati e a come si sta ad essere squadrati dal basso verso l'alto. Com'è facile sentirsi superiori nel nostro orticello, dove tutti ci conoscono e forse un po' per interesse, un po' per quieto vivere ci assecondano fin troppo spesso.
Quando esci li fuori però, capisci come ovunque tu vada, sei un elemento discordante. E non ti basta fare il gradasso con le tue mazzette di Rupie, Dollari o Riggit.
Sei uno straniero e finché stai qui vedi di portare rispetto per le tradizioni e la cultura che trovi. Anche se significa mettere i pantaloni lunghi perché sei in una città musulmana, o almeno sotto il ginocchio.  Non sei il capo, non fai le regole e francamente non lo sei mai stato. Sei uno su quasi sette miliardi e ci sono posti nel mondo, tantissimi, dove il tuo stato è conosciuto solo per la pizza e per il calcio. Fattene una ragione.
I viaggiatori si innamorano, ogni giorno.
Di un profumo mai sentito, di un nuova spezia, di nuove ritmiche che provi ad inquadrare, di una casa che non sarà mai tua sulle carte ma per sempre tu nel cuore. Quando passi la vita a scoprire, non c'è tempo per la noia. Tutto è una festa continua, anche se la tua quotidianità è fatta di casa e ufficio, come per la maggior parte degli esseri umani.
I viaggiatori sanno che la vita è un viaggio non una vacanza. Sarà piena di imprevisti, conoscerai tantissima gente e quasi tutti saranno di passaggio, pochi saranno quelli che alla fine ti affiancheranno per una lunga tratta. Sanno che non sanno quanto il viaggio durerà, ma va bene così.
I viaggiatori non hanno paura di essere la differenza che vogliono vedere nel mondo. Non temono di esporre la loro ideologia politica, la loro filosofia di vita, la loro posizione nei confronti del mondo. Non hanno bisogno di essere accettati da un gruppo, di essere marchiati dallo stesso stemma, di utilizzare le stesse frasi fatte. Hanno fatto i conti con la solitudine, con se stessi, con le vecchie ferite e non hanno paura di trovarsi di nuovo in una stanza vuota rileggendo per la decima volta lo stesso libro.

Come recita uno dei miei film preferiti, ci sono due tipi di viaggiatori: quelli che partendo guardano la bussola e quelli che guardano uno specchio. Quelli che guardano la bussola, partono. Quelli che guardano lo specchio tornano a casa.

Ma per i viaggiatori veri la casa è dentro e ce la si porta dietro, come le chioccioline dopo la pioggia.




martedì 20 gennaio 2015

1 year time.

Si, sto facendo la scimmia ad una delle mie canzoni preferite adattandola alle mie tempistiche. Se la conosci, mi stai già simpatico/a, dovresti contattarmi per uscire a bere una cosa o prendere un caffè, nel momento in cui le nostre coordinate coincideranno.
Ho sempre odiato il mese di Gennaio, è un feeling che mi tiro addosso dalle elementari, quando era il mese delle interrogazioni, delle pagelle tragiche e conseguenti punizioni colossali. L'ansia è sempre stata la stella polare di questo mese e anche dopo la de scolarizzazione la maledizione di Gennaio mi è sempre stata addosso: a Gennaio sono sempre attanagliata da una morsa malsana di stress, ansia da prestazione, progetti inchiodati, orari allucinanti e diverse delusioni. Sarà una combutta cosmica, sfiga o auto convinzione: ho odiato gennaio in tutti gli inverni che ricordo, continuerò probabilmente a farlo per il resto del mio tempo su questo pianeta.

Tuttavia, nonostante Facebook abbia smantellato l'accadde oggi, forse per le troppe depressioni causate, quattro conti in croce e capisco come un anno fa la mia vita era veramente diversa. Anzi aveva proprio iniziato a trasformarsi ma non mi ero ancora resa conto di quanto questi cambiamenti mi avrebbero portata lontana.
Un anno fa  lavoravo ancora come dipendente, anche se per poco, e come tutti i contrattisti italiani mi facevo rodere il fegato dalla malsana idea che perdere quel lavoro sarebbe significato perdere qualcosa di
fondamentale. Avevo dimenticato per l'ennesima volta che la mia vita adulta è sempre stata costituita di svolte radicali, colpi di scena e cambiamenti apparentemente repentini ed ogni singola volta il cambiamento mi ha portato a migliorare il mio stile di vita, le mie aspettative, la mia realtà. Purtroppo appena mia appollaio un attimo in una routine dimentico che il mio motore si alimenta a novità ma per fortuna i fatti me lo ricordano al momento giusto.Per fortuna, resto il solito Peter Pan, che riesce a divertirsi anche quando c'è ben poco da ridere e le mazzate passano in fretta. Un anno fa, avevo iniziato a covare quello che oggi mi permette di vivere in una casa di paglia e legno. Era ancora un embrione ma stava lentamente diventando un'idea, che oggi ha ragione sociale e paga le tasse come tante sue sorelle italiane.
In quest'anno sono diventata una libera professionista, non una Escort, madre natura non è stata magnanima, una di quelle che ci rimette diottrie e polpastrelli, passando poi per Start Upper ed Enterpreneur.
Fa sempre figo definirsi in Inglese, ma il succo è che ho sviluppato un'agenzia che è ancora agli inizi e sono un'imprenditrice, nel senso che la maggior parte dei miei introiti viene investita nel migliorare la mia impresa. Fa meno figo ora, vero?
Ho mangiato come non mai, curandomi relativamente dei miei kg. Si ok, il cromosoma XX rende impossibile silenziare la lagna, costante e perenne, ogni volta che si incontra uno specchio o una videocamera. Ma non ho effettuato i miei proverbiali digiuni nervosi che mi portano a svuotare la quarantadue, a volte l'ho riempita un po' troppo, altre come ora calza a pennello. Tanto alla quaranta non ci arrivo se prima non mi limo le ossa del bacino.
Ho imparato che il fisico di una trentunenne gestisce un hangover peggio di quanto il governo italiano gestisce le campagne elettorali. Belli i tempi in cui caffè e aspirina erano la cura ad una notte di baldorie. Ora si deve aggiungere: un gastro protettore-riparatore, tanta acqua, vitamine e possibilmente un esorcismo. Il Karma del mio sistema peptico è una minaccia peggiore di quelle subite da mia madre prima dei colloqui con i docenti.

Ho smesso di fumare, ho ricominciato a fumare, ho smesso di fumare, diciamo che ho un rapporto intermittente con il fumo. E' stato bello dimostrarsi di poterne fare a meno, sapere che quando non ti va non lo fai e quando hai bisogno di maggiore capacità polmonare o passi la giornata nella natura non senti il bisogno di accendertene una o di comprare il pacchetto. Insomma, non hai concluso una mazza. Se non che sei diventata "tirchia" e te lo concedi solo nello stato in cui costano meno di un euro a pacchetto.
Ho conosciuto gente straordinaria. In tutti i sensi. Alcuni straordinariamente stronzi e perfidi, proprio nel senso che parlano nella speranza di far danni. Altri straordinariamente speciali. Ho trovato il modo di scrollarmi di dosso la responsabilità della cattiveria altrui e di accettare l'affetto incondizionato delle persone che te ne danno senza un perché.
Ho accettato di essere un impiastro sentimentale, un'anafettiva e spesso una pianta grassa spinosa piena di sarcasmo e cinismo. Un ammasso di cocci, polvere e bile. Ma ho anche scoperto che nulla irrita più le persone mediocri della tua felicità, cosa che comporta un doppio guadagno dato che anche il soggetto vive meglio, così per la maggior parte di quest'anno ho passato più giorni a ridere che a corrucciare la fronte. Se devono venirmi delle rughe, almeno siano quelle che piacciono a me!
Ho scoperto che non esiste l'ascensore per il successo, bisogna prendere le scale. Ma ogni gradino, anche quelli più ostici, qualche ricompensa la nasconde.
Ho scoperto che esiste più arte in un popolo che non ha la parola arte nel dizionario di quanta sia concentrata al Louvre, che le parole dovrebbero essere limitate per non perdere di importanza e che pensare positivo non influenza gli eventi, ma ti aiuta per lo meno ad affrontarli con meno paura.
Ho avuto due campanelli a ricordarmi la fragilità e l'imprevedibilità della durata della nostra permanenza terrena. Ma ho anche visto che quando si scava un solco nell'anima delle persone si vive per sempre.
Ho preso poi perso e poi non so più sempre quei cinque chili. E sono sopravvissuta ad entrambe le situazioni.
Ho guadagnato meno di quando guadagnavo da dipendente in alcuni mesi, più del doppio in altri,  ma ho guadagnato la totale gestione del mio tempo. E l'ho speso facendo le cose che più mi piace fare, anche se a volte significa rinchiudersi nel mio ufficio di bamboo oltre le otto ore canoniche e dimenticarsi di pranzare.
Un anno dopo ripeterei ogni singolo passo che mi ha portata qui, sperando che fra un anno, il mio gennaio sarà più rilassato, anche se l'ansia causata da questo mese è oramai per me una certezza.
Ho riso fino al malditesta ed ho pianto fino ad ottenere lo stesso risultato, non ho fatto economia di sentimenti nonostante tutto urlasse di parcheggiarmi in un porto sicuro in attesa che le ferite guariscano spontaneamente. Il problema è che spontaneamente, nulla avviene a questo mondo e solo il giorno che lo ammetterai prenderai  in mano la situazione.