domenica 15 marzo 2015

Effetti collaterali del mondo dal tempo di gomma.


Tutti hanno l'immagine di noi nomadi digitali come un branco di fancazzisti che passano le loro giornate a sorseggiare cocktail, a chiacchierare sui massimi sistemi e a vivere con il cheque di mamma e papà o a mangiare i propri risparmi.
Magari c'è chi può permetterselo ma io, s-fortunatamente, non appartengo alla categoria.
Dopo oltre un mese di lavoro intenso che mi ha alienato, di nuovi progetti che occupano il mio tempo libero  come piccoli rivoluzionari anarchici in una scuola abbandonata e di preoccupazione per i bonifici che arrivano sempre con una calma che tendo a non avere, finalmente è giunto anche per me il momento di prendermi qualche giorno di vacanza.
Così, avendo scoperto l'esistenza di un nuovo parcheggio custodito per gli scooter in zona aeroporto di è deciso di evitare di ingaggiare un tassista per le trasferte e di fare quei 40 km con il mezzo balinese per eccellenza.
L'unico problema che si scorgeva all'orizzonte era l'orario del volo, intorno alle 6 del mattino che rendeva il viaggio in scooter verso l'aeroporto un viaggio della speranza, considerando che la Ngurah Rai, il GRA di Denpasar, è un incrocio fra una superstrada e una città indiana. Si è optato quindi per la soluzione più comoda: partire il giorno precedente e dormire in aeroporto trovando un angolino comodo vicino a qualche gate poco frequentato.
Una volta arrivati, si è deciso di andare diritti ai gate passando tutti i controlli del caso.
Primo check della security, fatto. Secondo check del biglietto con tanto di battuta di bar code, fatto. Scan e controlli vari (fra cui quello della carta d'imbarco, superati. Desk ufficio immigrazione, per ottenere il timbro in uscita con conseguente controllo di carta d'imbarco, date varie, etc etc, superato con successo. Finiti i canonici venti minuti di rat race, mentre camminiamo, controlliamo gli orari sul biglietto. Ed ecco la fantastica sorpresa: due dementi italiani, stressati dal lavoro e contaminati dall'eterno stabile scorrere del tempo asiatico si sono presentati in aeroporto convinti di partire l'8 con un biglietto erogato per il 7.
Dopo reciproche minacce di morte violenta non consumatesi data la location inappropriata e diverse bestemmie che sono andate a cancellare una settimana di mantra e meditazione alla ricerca della pace interiore, ci siamo dovuti procurare a circa otto ore dal volo un nuovo biglietto, questa volta per il volo giusto.
Ma la domanda che sorge spontanea è: vabbè che noi siamo due rincoglioniti stressati, ma è mai possibile che in quattro controlli in un aeroporto internazionale NESSUNO si sia accorti di questi ritardati (nel senso di ritardo orario) che tentano di passare i controlli con una carta d'imbarco scaduta?
Probabilmente consapevoli della loro colossale cappella, quando ci siamo recati all'ufficio immigrazione facendo loro notare che abbiamo accesso ai gate con il biglietto sbagliato, perfino i burocrati indonesiani di turno la notte, irosi come una casalinga che non riesce a vincere la guerra agli acari, si sono messi il loro sorriso migliore e siamo stati scortati in tutto il percorso per "risolvere la questione". Mentre venivo accompagnata da desk a desk pensavo: whoa, se fosse capitato in Italia avrei perso ALMENO un quarto d'ora assistendo a tutti i responsabili dei quattro check che si scaricano la colpa a vicenda, cercando di evitare grattacapi e probabilmente avrei dovuto trovare una passaporta per raggiungere lo sportello della linea aerea per stampare i miei nuovi biglietti.
Ma più tempo trascorro qui, più realizzo che la magia dello spirito indonesiano si nasconde dietro alle loro straordinarie doti di semplificazione.
Pur avendo ricevuto il timbro che non mi autorizza più l'entrata allo stato senza quello dello stato successivo, scortata da un agente, sono rientrata nella zona proibita senza che nessuno si faccia domande.
Nessun protocollo, nessuna regolamentazione che non possa essere "violata" per non trascorrere la notte cercando di uscire da situazioni kafkiane.
Il mio danno si è limitato a 100 €, l'acquisto di un biglietto last minute per risanare la mia disattenzione e svariate bestemmie.
Probabilmente nell'occidentale mondo della "forma" e delle regole oltre a varie lavate di capo ed insulti, magari pure un po' di derisione, mi sarei trovata a fare i conti con una quarantena burocratica.
In tutto questo rido. Rido perché sono in un angolo di mondo in cui io sono l'immigrata, devo lottare con i permessi di soggiorno ed i miei "stipendi" occidentali non sono abbastanza per garantirmi il benessere e la vita semplice. Rido perché tutto il mondo è paese e stare dalla parte dello straniero che ogni volta che si trova un agente davanti teme di essere bullato per estorcerti qualcosa in più, ti fa comprendere come il mondo non sia lineare e sentirti al sicuro a casa tua è come vivere in una campana di vetro.
Ma rido soprattutto perché essere una control freak che controlla tutto 10 volte, dal rubinetto del bagno alla serratura di casa, non mi ha esonerato da commettere l'errore di sbagliare il giorno in cui dovevo presentarmi al gate.
Credo che sia proprio questo il concetto di "tempo di gomma" e francamente credo che a questo punto il tempo di gomma mi sia entrato dentro, e non mi lascerà per molto ancora.

giovedì 5 marzo 2015

Aspettando Thoreau

Il primo messaggio che ho letto questa mattina, attivando le sinapsi prima del sacro caffè, era di un mio affezionato ed adorabilmente critico lettore.
"Se tu dovessi considerare la semplicità, come argomento di riflessione, che pensiero metteresti per iscritto?"
Come un caleidoscopio questa frase mi ha accompagnata durante la giornata. Dalla colazione, consumata in chiassoso silenzio mentre canticchio i Lynyrd Skynyrd, alla mia lezione di Power Yoga, l'ultima frontiera del masochismo per il mio corpo male allenato.
Pensare la semplicità è semplice. Scegliere un solo pensiero rende la questione molto più complessa.
Dopo essermi persa fra infinite citazioni, libri e canzoni, sono giunta alla conclusione che tentare di descrivere la semplicità la complica e si perde il fine stesso della sua essenza.
Non scriverò quindi nessuna riflessione sulla felicità ma vi lascerò l'immagine che nella mia mente rappresenta in toto la sua quintessenza.

Holi in India.


mercoledì 4 marzo 2015

Il mondo fuori dal nostro mondo. Perchè smettere di sentirci superiori, può aiutarci a vivere meglio.

Mancano pochi giorni e mi addentrerò nel cuore del paese islamico più grande al mondo. Un Islam moderato, che basa la sua esistenza sul rispetto dei credo altrui, pur facendo sentire la propria presenza con leggi molto distanti dall'occidente.
Vivere in una società Hindu per quattro mesi mi ha regalato il dono della comprensione della diversità, oltre la retorica. Per quanto liberalismo vendiamo nel nostro mondo dalle poche regole spesso infrante, il diverso che accettiamo è colui che ha comunque punti in comune con il nostro pensiero. Accettiamo altri occidentali, perchè per quanto possiamo percepire le loro piccole abitudini diverse dalle nostre, hanno comunque un filo che riconduce alla stessa matrice. Abbiamo però un senso di difesa sempre attivo nei confronti di coloro che provengono da un mondo che ignoriamo e la xenofobia si nasconde proprio dietro le differenze sostanziali, che spesso ci limitiamo a giudicare senza tentare di capire.
A volte sorrido, quando penso a quando meno di un anno fa, su di un treno stipato che collegava Bologna a Piacenza, c'erano ben tre posti liberi di fianco ad un Sikh, e nessuno vi si accomodò, se non a Reggio Emilia, quando due giovani Francesi salirono a bordo, guardarono increduli il gruppo che se ne stava in piedi per il tragitto mentre c'erano dei posti vuoti e senza pensare due volte, sorridendo si sedettero, senza timore di alcun raggio malefico o contaminazioni aliene. Pur non avendo mai avuto problemi a sedermi di fianco ad uno straniero visibilmente pacifico, spesso preferendoli a Mamme Italiane DOP con marmocchi sbraitanti a seguito, ora che la straniera sono io, mi sento quasi una persona migliore.
L'Italia è un piccolo mondo antico in collisione con una mondiale globalizzazione, che come un bambino delle elementari abbastanza viziato, vuole che il gioco vada secondo le sue regole e pesta i piedi iroso in attesa che Mamma intervenga in suo favore.
Perchè noi mozzarelle bianche, con i nostri vestiti di marca e scarpe costose, non siamo da temere quanto uno straniero con un turbante in testa che percorre la nostra stessa tratta su di un treno per pendolari?
Non siamo stati anche noi (leggi occidentali) a fare delle guerre "di pace", in paesi vittime delle catene dell'odio ove per pura casualità risiedono gli ultimi giacimenti petroliferi? Non ci sono forse stupri, omicidi e violenze anche all'interno delle case per bene occidentali e non è sempre stato così? Non siamo forse noi, che viviamo nello stesso quartiere da ventanni e non ci prendiamo la briga di stringere la mano al nostro vicino? Quelli che provano odio ed invidia per i successi delle persone che li attorniano? Coloro che hanno inventato Wall Street da centinaia di anni vivono in funzione del dio denaro?
Non siamo forse noi che scegliamo di non avere figli perchè vogliamo ancora un po' di tempo per goderci la vita, che poi quando arriva un bambino finisce la festa? Non sono forse le nostre catene dell'odio, ad aver soggiogato l'Africa?
Ogni tanto mi arriva la domanda: Ma tu non hai paura di vivere in uno stato musulmano? In un paese in via di sviluppo? In mezzo a focolai di malattie che nel nostro mondo sterilizzato non esistono più? Sull'anello di fuoco, fra vulcani e terremoti?
Io ho paura di tornare nel mondo dove se porti a spasso un Iphone senza custodia e pellicola protettiva sei considerato un'irresponsabile mentre si calpesta il cuore delle persone che si dice di amare senza pensarci due volte. Ho paura di un mondo dove tutti hanno paura e costruiscono anche i loro sorrisi, per sentirsi all'altezza. Mi spaventa una società dove quando sorriderò ad una persona di cui lo sguardo si incrocia al mio causerà mille pensieri, tutti sospettosi, invece di trovarlo un normale gesto di umanità.
Ho paura di rientrare sotto la bolla protettiva del mondo che mi accetta legalmente ma non umanamente. Mi terrorizza un mondo fatto di gruppi, in cui la catalogazione corrisponde a sicurezza e l'individualità è considerata negativamente. E provo sempre più disprezzo per una realtà dove si confonde l'indipendenza con la volgarità, la libertà con la svendita del proprio essere ed i sentimenti con gli ormoni.
Ho incontrato Americani, di preciso un Ingegnere Aerospaziale che ha lavorato per la Nasa, che hanno lasciato tutto perchè non si sentivano di vivere nel sistema in cui erano, ed ora fanno lavoretti salturari in baretti lungo la spiaggia.  Ho incontrato Indiani che lavoravano come sistemisti per i sistemi di comunicazione degli aeroplani, avendo raggiunto la tanto sognata America, rimettersi in viaggio in cerca dell'umanità che sentono di aver perso. Tedeschi che vivono in giro per il mondo, chiedere di non odiarli per le colonialiste politiche teutoniche e dirmi che anche nell'arrogante Germania il popolo tira la cinghia, lavora dopo la pensione perchè lo stato non ha una previdenza sociale. Inglesi lamentarsi del loro sistema d'istruzione, incensato in tutto il mondo. Ho incontrato Italiani che lottano per un'indipendenza economica e sono felici senza pasta cotta al dente e la moka in valigia rifiutando proposte che li riporterebbero a casa. Olandesi lamentarsi della corruzione del proprio paese.
Penso spesso alle mie lezioni universitarie di Antropologia, allora così lontane dal mio mondo, oggi il segreto che mi porto in tasca in ogni angolo del globo per apprezzare la diversità.
Ogni paese, ogni angolo del pianeta, è un calderone di problemi. Ospita di tutto, dalla crudeltà più illogica allo splendore del senso universale di umanità e cooperazione.
Non esiste un popolo migliore o peggiore. Non sempre c'è l'happy ending.
Ma quando parti per il mondo con il cuore e gli occhi aperti, pronti a raccogliere ogni lezione che verrà, allora capirai che questo mondo non merita di essere visto dalla TV, ma di essere vissuto a pieni polmoni. I cibi sono fatti per essere assaggiati e la musica per essere ballata.
Vivere una vita nella paura non ti preserverà dal finale ultimo che attende, in un qualche modo, ognuno di noi.
Quindi vediamo di goderci il viaggio, cercando quello di buono che ancora c'è, in questo mosaico di idee e colori che è l'umanità.
Tanto la vita è molto più grande di noi e alla fine siamo tanti piccoli battiti di ciglia negli occhi di eterne divinità, che possiamo chiamare tempo.

lunedì 2 marzo 2015

Home.

Sono stata una viaggiatrice per la quasi totalità della mia vita adulta. Mi sono spinta fin da giovane prima oltre i miei confini regionali, poi in un altro stato ed ora in un altro continente.
Ogni volta che ho scelto un angolo comodo di mondo per le mie necessità del momento non ho mai necessitato di molti pilastri per sentirmi a casa.
Casa per me sono sempre state le quattro mura che mi hanno ospitato e dato un senso di sicurezza e protezione. Un nido dove riposare dopo lunghi turni di lavoro. Dove consumare i miei pasti nella totale tranquillità senza paura di macchiare i vestiti, una delle mie doti più note.
Un posto dove riconoscermi nel volto di qualcuno che mi fa un caffè o mi prepara un sandwich. Un vicino che mi saluta quando rientra a casa.
Nella mia vita non ho mai avuto molte certezze, anzi ho sempre sospettato che le certezze siano una sorta di cancro che tendono a zavorrarci facendoci deglutire bocconi amari insensati al fine ultimo della nostra esistenza. Questo mio approccio del tutto personale alla ricerca della mia comfort zone mi ha portato a costruirne una mentale, che mi porto a spasso insieme al mio PC e quei pochi oggetti importanti per il mio lavoro e per la mia memoria storica. Ci ho ragionato e filosofeggiato a sufficienza per stabilire che le mie radici sono talmente profonde che spesso ciò che accade in superficie è effimero e passaggero.
Tuttavia la mia vita guardando un altro oceano, mi ha portato più volte a mettere in discussione i pochi punti che credevo di aver già chiarito nel corso degli anni, ed oggi è bastato un incontro ad una lezione di Yoga per riempire la testa di domande, alle quali probabilmente non troverò altro che una risposta variabile nel tempo.
Dopo una lunga sessione di Pranala, ho incontrato una signora Italiana. Il volto di una persona che ha scavalcato il mezzo secolo, il fisico di chi ha combattuto molte guerre, gli occhi di chi ha scattato diversi volti. Una di quelle persone che parlano senza bisogno di parole. Un fascio di nervi e muscoli in una figura minuta, che senza una logica connessione, mi ha portato alla mente i cercatori d'oro.
Quattro chiacchiere informali davanti alla boccia d'acqua in uscita dalla sala eppure è bastata la domanda più diffusa da queste parti "Quando rientri a casa" e boom! arriva la locuzione pronta ad attivare le sinapsi ed a mettere in dubbio le piccole certezze odierne.
"Resto fino a fine Maggio, ma poi non so. Ora che non ho più nessuno al mondo, non ha molto senso tornare per forza. Posso scegliermi la meta."
Improvvisamente mi sono resa conto che il mio viaggiare, muovermi, scoprire altri mondi è sempre stato una scelta. Anche nei suoi momenti più dolorosi, quando mi sentivo sola, non lo sono mai stata veramente.
Al chè mi chiedo: ma se è vero che casa è dov'è il cuore, dove risiedono le persone che non hanno più nessuno al mondo?
Come si trova la felicità o la serenità quando sappiamo che l'unica persona che ci starà vicino fino alla fine, siamo noi?
Com'è realmente la vita quando la si affronta da soli? Che poi, si è veramente soli quando si perdono contatti di "sangue" che ci sono stati dati geneticamente oppure non si è soli mai, in un mondo di sette miliardi di individui?
Questo pensiero ha sbaragliato i pensieri di delusione nei confronti dell'umanità con i quali mi ero trovata ultimamente a confrontarmi spesso nelle ultime settimane. Passeggiando fra l'attualità, la fantapolitica e i cortili virtuali di gente transitata per la mia vita quel poco che è bastato ad escluderli dalla mia piccola ma fitta cerchia.
Improvvisamente mi sono resa conto che per quanto viaggi, per quanto esplori il mondo, casa resterà sempre quel piccolo angolo dove si trovano le persone che fanno la tua vita, rendendoti quella che sei oggi, riempiendo le tue giornate di calore ed affetto e che riescono a seguirti anche se fisicamente sono a decine di migliaia di chilometri.
Non so che cosa significhi essere soli al mondo, probabilmente non lo saprò mai.
E forse proprio per questo ringrazio di fare parte di una grande famiglia, di sangue e non. Particolare e folkloristica, dove ci si scontra e confronta. Ma che so, che comunque vada, avranno sempre una tazza di caffè pronta per me e quattro chiacchiere da condividere.
L'importante è avere qualcosa per cui ringraziare. Ed io, fortunatamente, fin troppi motivi per farlo.