lunedì 26 gennaio 2015

The Passenger.

Con questo titolo vi sto facendo canticchiare Iggy e magari non capitava da un po', lo so.
Forse era proprio questo il mio intento, visto che ogni volta che mi metto alla tastiera una canzone in testa c'è sempre.
Ad Ubud è notte e mentre di solito a quest'ora attraverso la fase più profonda del sonno, questa sera il vecchio Morfeo ha deciso di farsi desiderare.
La vita nelle risaie è fatto da un soundtrack di rane, grilli, paperelle e altri animaletti che se la cantano indisturbati. Sembrano quei CD New Age, che ti fanno ascoltare nelle sedute di training autogeno. Ma non sono CD, è tutto live.
Non si percepisce una macchina. Non uno scooter. Ogni tanto qualche aereo, che vola basso abbastanza ma sembrano essere molto pochi in queste ore della notte.
Così, come da tradizione, mentre guardi la tenda rossa del letto a baldacchino, improvvisamente senti il bisogno di alzarti e di metterti a scrivere. Capita a tutti gli scrittori, dilettanti o meno. Mai che l'ispirazione giunga ad ore civili.
In questo concerto di grilli, rane e cavallette in una notte tropicale, il mio pensiero va ai viaggiatori.
Sempre più spesso le testate giornalistiche pubblicano articoli, storie di vita, di chi ha mollato tutto ed è partito. Aprire un bar ai Caraibi, insegnare immersioni in Thailandia, girare il mondo in barca o aprire un ristorante alle Samoa. Sotto ognuno di questi articoli centinaia di commenti stizziti, che all'unisono mostrano il loro disappunto con frasi del tipo: "Ce li avessi io i soldi!" "I soliti figli di papà!", accompagnati da quelli ancor più incattiviti come "Ma tanto tornano, ne conosco di gente che ha fallito ed è tornata con la coda fra le gambe."
Sarà l'effetto dell'Asia, un carattere privo di invidia forse per pigrizia, ma non riesco a comprendere come la scelta di vita di altre persone possa in un qualsiasi modo provocarmi sentimenti negativi.
Ho viaggiato per la maggior parte della mia vita adulta, o per lo meno mi sono trovata abbastanza lontana da casa ed immersa in culture che non mi appartenevano. Ho passato gli ultimi quasi nove anni a parlare lingue che non sono la mia lingua madre. Ho conosciuto tantissima gente di tutti i ceti sociali. Vi racconto qualcosa su chi sono i viaggiatori e perché hanno sempre quello sguardo placido
di chi è in pace con il mondo anche se stanno per mangiare dell'improbabile street food seduti su di un marciapiedi lercio in centro a Salonicco.
Il viaggiatore è quella persona che si allontana dalla sua comfort zone alla ricerca di un miglioramento delle sue condizioni di vita.  Non sempre sono dei poveracci, a volte non è la quantità di vita a mancarci ma la qualità. Viviamo in un mondo talmente complicato che solo una dose massiccia di semplicità ci riporta con i piedi per terra ricordandoci quali sono le cose che veramente contano.
I viaggiatori hanno sempre uno scopo, una meta. Ma la caratteristica comune a tutti i giramondo è che  nel corso del viaggio tutto si stravolgerà. II viaggiatore non è un ruolo da control freak, abitudinari e fanatici della routine. Un viaggiatore sa che quasi sempre i suoi piani sono destinati a fallire per colpa del tempo, degli scioperi , dei vulcani che eruttano inaspettatamente, dell'hotel che si perde la prenotazione, di un Escherichia Coli insolente di qualsiasi fattore fuori dal suo controllo. A questo fine tiene sempre un libro con se, magari un taccuino, per avere compagnia nell'ennesima notte in aeroporto letto o porto che sia.
I viaggiatori non sono soli, anche se viaggiano da soli. Si crede che chi viaggia per lunghi periodi non abbia una famiglia, degli affetti, qualcuno ad aspettarlo, ma non è così. Nessuno di noi è nato su di un albero ed è caduto a maturità raggiunta. Abbiamo solo degli equilibri diversi, un lessico famigliare differente, che ci porta a non aver bisogno di appuntamenti fissi per sentire la nostra famiglia parte della nostra vita. Con la tecnologia di oggi, da Bali, Roma o New York, lavorando un po' sui fusi orari, si ha una reperibilità del 100%. C'è sempre la possibilità di un biglietto di rientro last minute e ci siamo per la nostra famiglia quanto i sedentari che passano ogni domenica a pranzo.
Raccolgo magneti in ogni poso nuovo in cui vado, per mia madre che ne fa una collezione. Scatto una foto del quartiere e del punto in cui l'ho comprato. So che quando, fra qualche mese, saranno sul suo frigo, quei magneti non saranno solo degli addobbi, ma un pezzo di storia che hanno vissuto con me.
II viaggiatori non sono anime in pena, come spesso vengono definite le persone che compiono scelte differenti.
La maggior concentrazione di anime in pena che visto si concentrano fra le grigie mura degli uffici cittadini che si sentono troppo strette ma che hanno al tempo stesso paura di abbandonare, nelle linde e profumate palestre occidentali dove ci si ammazza per raggiungere una perfezione che non ci sarà mai, nei ristoranti HACCP dove se paghi trenta euro ti senti un eroe, nei bar dove si scambiano sempre le stesse chiacchiere e negli occhi di chi, anziché migliorare la propria esistenza, si applica costantemente nel rovinare quella altrui.
Le anime in pena urlano "Vorrei ma non posso." i viaggiatori sorridono " Voglio e troverò il modo per farcela."
I viaggiatori non sono degli approfittatori. Possono avere una manciata di euro nel portafogli, ma quello che hanno lo condividono.Una delle persone che sono più felice di aver incontrato qui, è passata da uno stipendio di tremila euro al mese a circa seicento. Non ha perso il sorriso un solo giorno. Quando è dovuto rientrare in Europa per le feste, aveva altre due settimana di una costosissima villa con piscina pagate. Ha lasciato la casa ad una ragazza che era appena arrivata e non ha chiesto un euro di rimborso.
"Nella vita a volte si da a volte si prende. Oggi è il mio turno di dare."
Al suo ritorno il suo budget era sceso vertiginosamente e non aveva idea di dove avrebbe passato i giorni successivi. Quella ragazza è tornata dicendogli che avrebbe dovuto rientrare a Toronto improvvisamente, e aveva un mese di un'altra casa favolosa già pagata. Quando lui ha fatto il gesto di pagare la differenza, lei l'ha tacciato con la sua stessa frase.
Un viaggiatore non è razzista perché ha passato i controlli d'immigrazione di diversi stati e a come si sta ad essere squadrati dal basso verso l'alto. Com'è facile sentirsi superiori nel nostro orticello, dove tutti ci conoscono e forse un po' per interesse, un po' per quieto vivere ci assecondano fin troppo spesso.
Quando esci li fuori però, capisci come ovunque tu vada, sei un elemento discordante. E non ti basta fare il gradasso con le tue mazzette di Rupie, Dollari o Riggit.
Sei uno straniero e finché stai qui vedi di portare rispetto per le tradizioni e la cultura che trovi. Anche se significa mettere i pantaloni lunghi perché sei in una città musulmana, o almeno sotto il ginocchio.  Non sei il capo, non fai le regole e francamente non lo sei mai stato. Sei uno su quasi sette miliardi e ci sono posti nel mondo, tantissimi, dove il tuo stato è conosciuto solo per la pizza e per il calcio. Fattene una ragione.
I viaggiatori si innamorano, ogni giorno.
Di un profumo mai sentito, di un nuova spezia, di nuove ritmiche che provi ad inquadrare, di una casa che non sarà mai tua sulle carte ma per sempre tu nel cuore. Quando passi la vita a scoprire, non c'è tempo per la noia. Tutto è una festa continua, anche se la tua quotidianità è fatta di casa e ufficio, come per la maggior parte degli esseri umani.
I viaggiatori sanno che la vita è un viaggio non una vacanza. Sarà piena di imprevisti, conoscerai tantissima gente e quasi tutti saranno di passaggio, pochi saranno quelli che alla fine ti affiancheranno per una lunga tratta. Sanno che non sanno quanto il viaggio durerà, ma va bene così.
I viaggiatori non hanno paura di essere la differenza che vogliono vedere nel mondo. Non temono di esporre la loro ideologia politica, la loro filosofia di vita, la loro posizione nei confronti del mondo. Non hanno bisogno di essere accettati da un gruppo, di essere marchiati dallo stesso stemma, di utilizzare le stesse frasi fatte. Hanno fatto i conti con la solitudine, con se stessi, con le vecchie ferite e non hanno paura di trovarsi di nuovo in una stanza vuota rileggendo per la decima volta lo stesso libro.

Come recita uno dei miei film preferiti, ci sono due tipi di viaggiatori: quelli che partendo guardano la bussola e quelli che guardano uno specchio. Quelli che guardano la bussola, partono. Quelli che guardano lo specchio tornano a casa.

Ma per i viaggiatori veri la casa è dentro e ce la si porta dietro, come le chioccioline dopo la pioggia.




martedì 20 gennaio 2015

1 year time.

Si, sto facendo la scimmia ad una delle mie canzoni preferite adattandola alle mie tempistiche. Se la conosci, mi stai già simpatico/a, dovresti contattarmi per uscire a bere una cosa o prendere un caffè, nel momento in cui le nostre coordinate coincideranno.
Ho sempre odiato il mese di Gennaio, è un feeling che mi tiro addosso dalle elementari, quando era il mese delle interrogazioni, delle pagelle tragiche e conseguenti punizioni colossali. L'ansia è sempre stata la stella polare di questo mese e anche dopo la de scolarizzazione la maledizione di Gennaio mi è sempre stata addosso: a Gennaio sono sempre attanagliata da una morsa malsana di stress, ansia da prestazione, progetti inchiodati, orari allucinanti e diverse delusioni. Sarà una combutta cosmica, sfiga o auto convinzione: ho odiato gennaio in tutti gli inverni che ricordo, continuerò probabilmente a farlo per il resto del mio tempo su questo pianeta.

Tuttavia, nonostante Facebook abbia smantellato l'accadde oggi, forse per le troppe depressioni causate, quattro conti in croce e capisco come un anno fa la mia vita era veramente diversa. Anzi aveva proprio iniziato a trasformarsi ma non mi ero ancora resa conto di quanto questi cambiamenti mi avrebbero portata lontana.
Un anno fa  lavoravo ancora come dipendente, anche se per poco, e come tutti i contrattisti italiani mi facevo rodere il fegato dalla malsana idea che perdere quel lavoro sarebbe significato perdere qualcosa di
fondamentale. Avevo dimenticato per l'ennesima volta che la mia vita adulta è sempre stata costituita di svolte radicali, colpi di scena e cambiamenti apparentemente repentini ed ogni singola volta il cambiamento mi ha portato a migliorare il mio stile di vita, le mie aspettative, la mia realtà. Purtroppo appena mia appollaio un attimo in una routine dimentico che il mio motore si alimenta a novità ma per fortuna i fatti me lo ricordano al momento giusto.Per fortuna, resto il solito Peter Pan, che riesce a divertirsi anche quando c'è ben poco da ridere e le mazzate passano in fretta. Un anno fa, avevo iniziato a covare quello che oggi mi permette di vivere in una casa di paglia e legno. Era ancora un embrione ma stava lentamente diventando un'idea, che oggi ha ragione sociale e paga le tasse come tante sue sorelle italiane.
In quest'anno sono diventata una libera professionista, non una Escort, madre natura non è stata magnanima, una di quelle che ci rimette diottrie e polpastrelli, passando poi per Start Upper ed Enterpreneur.
Fa sempre figo definirsi in Inglese, ma il succo è che ho sviluppato un'agenzia che è ancora agli inizi e sono un'imprenditrice, nel senso che la maggior parte dei miei introiti viene investita nel migliorare la mia impresa. Fa meno figo ora, vero?
Ho mangiato come non mai, curandomi relativamente dei miei kg. Si ok, il cromosoma XX rende impossibile silenziare la lagna, costante e perenne, ogni volta che si incontra uno specchio o una videocamera. Ma non ho effettuato i miei proverbiali digiuni nervosi che mi portano a svuotare la quarantadue, a volte l'ho riempita un po' troppo, altre come ora calza a pennello. Tanto alla quaranta non ci arrivo se prima non mi limo le ossa del bacino.
Ho imparato che il fisico di una trentunenne gestisce un hangover peggio di quanto il governo italiano gestisce le campagne elettorali. Belli i tempi in cui caffè e aspirina erano la cura ad una notte di baldorie. Ora si deve aggiungere: un gastro protettore-riparatore, tanta acqua, vitamine e possibilmente un esorcismo. Il Karma del mio sistema peptico è una minaccia peggiore di quelle subite da mia madre prima dei colloqui con i docenti.

Ho smesso di fumare, ho ricominciato a fumare, ho smesso di fumare, diciamo che ho un rapporto intermittente con il fumo. E' stato bello dimostrarsi di poterne fare a meno, sapere che quando non ti va non lo fai e quando hai bisogno di maggiore capacità polmonare o passi la giornata nella natura non senti il bisogno di accendertene una o di comprare il pacchetto. Insomma, non hai concluso una mazza. Se non che sei diventata "tirchia" e te lo concedi solo nello stato in cui costano meno di un euro a pacchetto.
Ho conosciuto gente straordinaria. In tutti i sensi. Alcuni straordinariamente stronzi e perfidi, proprio nel senso che parlano nella speranza di far danni. Altri straordinariamente speciali. Ho trovato il modo di scrollarmi di dosso la responsabilità della cattiveria altrui e di accettare l'affetto incondizionato delle persone che te ne danno senza un perché.
Ho accettato di essere un impiastro sentimentale, un'anafettiva e spesso una pianta grassa spinosa piena di sarcasmo e cinismo. Un ammasso di cocci, polvere e bile. Ma ho anche scoperto che nulla irrita più le persone mediocri della tua felicità, cosa che comporta un doppio guadagno dato che anche il soggetto vive meglio, così per la maggior parte di quest'anno ho passato più giorni a ridere che a corrucciare la fronte. Se devono venirmi delle rughe, almeno siano quelle che piacciono a me!
Ho scoperto che non esiste l'ascensore per il successo, bisogna prendere le scale. Ma ogni gradino, anche quelli più ostici, qualche ricompensa la nasconde.
Ho scoperto che esiste più arte in un popolo che non ha la parola arte nel dizionario di quanta sia concentrata al Louvre, che le parole dovrebbero essere limitate per non perdere di importanza e che pensare positivo non influenza gli eventi, ma ti aiuta per lo meno ad affrontarli con meno paura.
Ho avuto due campanelli a ricordarmi la fragilità e l'imprevedibilità della durata della nostra permanenza terrena. Ma ho anche visto che quando si scava un solco nell'anima delle persone si vive per sempre.
Ho preso poi perso e poi non so più sempre quei cinque chili. E sono sopravvissuta ad entrambe le situazioni.
Ho guadagnato meno di quando guadagnavo da dipendente in alcuni mesi, più del doppio in altri,  ma ho guadagnato la totale gestione del mio tempo. E l'ho speso facendo le cose che più mi piace fare, anche se a volte significa rinchiudersi nel mio ufficio di bamboo oltre le otto ore canoniche e dimenticarsi di pranzare.
Un anno dopo ripeterei ogni singolo passo che mi ha portata qui, sperando che fra un anno, il mio gennaio sarà più rilassato, anche se l'ansia causata da questo mese è oramai per me una certezza.
Ho riso fino al malditesta ed ho pianto fino ad ottenere lo stesso risultato, non ho fatto economia di sentimenti nonostante tutto urlasse di parcheggiarmi in un porto sicuro in attesa che le ferite guariscano spontaneamente. Il problema è che spontaneamente, nulla avviene a questo mondo e solo il giorno che lo ammetterai prenderai  in mano la situazione. 



Welcome to the jungle!

La casa dei sogni, si sa, è un po' come l'anima gemella. Puoi girare per il mondo, sperimentare più di una protagonista di Brazzers oppure elaborare astruse fantasmagoriche teorie che non avranno mai una vera e propria valenza assoluta. Quando la incontri sai che è lei, sei pronta a giurarle eterno amore anche se per eterno si intende un lasso massimo di sei mesi e ti ci vedi dentro come se fosse sempre stata tua. Ho incontrato la casa dei miei sogni un mese fa ma era momentaneamente occupata con qualcun altro. Come per l'anima gemella ho mandato giù il boccone e ho atteso, pazientemente il mio turno, adagiandomi nella mia casa precedente che nulla aveva da invidiarle! Sono entrambe belle ma in modo diverso. Alla fine ognuno deve trovare qualcosa di adatto a se, tagliato e cucito, se possibile, altrimenti tanto vale tornare nell'appartamentino di Piacenza a fare lo gnomo della Gringott segregata nella mia cucinina in attesa che qualcuno risponda al mio insistente bussare quotidiano da quasi un anno a questa parte. Si, ho una start up di successo, ed il successo al giorno d'oggi lo interpreto avendo avuto la possibilità di avviare la mia attività senza debiti ed aumentando il mio fatturato e soprattutto trovandomi in questo angolo di mondo specializzandomi in settori "rari" nel panorama Italico, come l'esportazione all'estero e l'apertura di nuovi mercati, attraverso la legge del Marketing e della Comunicazione. Una presa di posizione idealista e quasi utopica per la maggior parte dei miei colleghi, ma la scelta drastica di cambiare aria per un po', ha permesso al mio business un'evoluzione sorprendente, anche per me.
Questa piccola parentesi è dedicata a tutti quelli che, chi sfacciatamente e chi alle spalle, crede che la mia vita sia solo viaggi, abbuffate e giornate in spiaggia. MAGARI! Non sono di famiglia milionaria e non faccio la escort di lusso, entrambe le cose per motivi di nascita. Tuttavia, dedicare un blog a giornate da dieci ore a studiare mercati, a produrre preventivi, a seguire corsi tenuti da gente molto più avanti di me in un mondo dove l'E-Marketing è già sviluppato, risulterebbe alquanto noioso. Per cui torniamo alle dis-Avventure di una mezzo sangue Europea a spasso per la controversa Asia.
Quando ho cominciato a sognare l'Asia e a dipingere il mio ritratto mentale di Bali, tutto ciò si concretizzava in una casa di legno e paglia, in cui ascoltare i grilli prima di svegliarmi e i galli cantare all'alba.
Il mio arrivo qui, a novembre, aveva abbastanza deluso le aspettative. Con i suoi 50.000, turisti e nomadi digitali, i proprietari di case di Ubud hanno capito che la loro era una miniera d'oro che poteva garantire un introito notevolmente maggiore a quello dato da ore ed ore nelle risaie o a massaggiare opulente australiane. Consapevoli del nostro potere d'acquisto, che ci permette di mantenere qui un tenore notevolmente superiore a quanto avremmo potuto aspirare nel vecchio continente, hanno così incrementato i prezzi, soprattutto delle case ambite da chi cerca un po' di verde e pace ed esponenzialmente rialzato in vista della Merry Christmas and Happy New Year Season (non è un mio copyright, è stata definita così da più di un locale e ogni volta che lo sento mi contorco dal ridere!).
Il metodo migliore per trovare la casa dei tuoi sogni ad un prezzo accettabile è la pazienza.
Ci vuole pazienza per perdersi negli stretti vicoli delle risaie di Penestanan, sventare le voragini dalle quali si scorgono i primi gironi dell'inferno di Nyuh Kuning oppure scovare piccoli bungalows a Sayan e Kedewatan. Insomma la pazienza è la virtù dei forti, soprattutto di chi con tanto impegno cerca di scavalcare gli agenti locali che ricaricheranno sul prezzo in cambio del loro lavoro di interprete con proprietari che parlano solo indonesiano.
Sono tuttavia sempre stata fortunata ed anche la mia prima casina non era assolutamente niente male: il mio padrone di casa era un artista ed in quanto tale ha sempre avuto una cura maniacale della pulizia, ogni mattina irrimediabilmente e dell'allestimento floreale del mio già colorato cortiletto, del riordino esteticamente impeccabile della mia cucinina e del bagno. Ma l'assenza di una rete internet e di un comodo tavolo nella zona giorno, rendevano la casa poco ospitale nei giorni in cui si sarebbe voluto stare a lavorare a casa, magari nel divano che sfortunatamente, non c'era. Non ho mai cercato una lussuosa dimora con piscina, ma qualche metro quadro in più avrebbe solamente reso la mia vita più semplice. Ho passato così oltre un mese monitorando case, andandole a vedere, contrattando sul prezzo. Ma nessuna aveva le peculiarità necessarie per dire al mio adorabile Landlord che dal mese successivo me ne sarei andata. Fino a che, poco prima delle feste, chiacchierando con una co worker che stava qui da molto più tempo, mi ha detto di andare a vedere questa casina. Due piani tutti per te, al prezzo che pagavo prima, circa trecento euro, e udite udite il Wifi sarebbe incluso. Sembrando troppo bello per essere vero mi sono avventurata nuovamente nei vicoli strettissimi di Penestanan, affrontati in scooter con il coraggio di un moderno Tarzan su due ruote. Era lei ed era bellissima: due piani, due camere da letto, due bagni, 3 divani divisi fra la terrazza sopra e quella sotto, cucina ed una comoda tavola a quattro posti al piano inferiore. Finalmente potrò invitare gente a cena! (ovviamente evitando di spignattare, visto che Ubud ti rende drasticamente allergica a qualsiasi pasto prodotto da te che non sia una colazione!)

Ho versato subito una parte dell'affitto per assicurarmi che il mese successivo sarebbe stata mia, contrattando quei trenta euro mensili di pulizie quotidiane: non li avrei pagati e le avrei avute uno giorno si e uno no. In compenso oltre al doppio dello spazio avrei potuto avere una casa vera e propria, dove ospitare amici che a turno arriveranno e colleghi che restano puntualmente senza dimora fra un cambio residenza e l'altro.
Questa mattina, sotto una pioggia torrenziale, con i miei 20 kg canonici di zaino, ho travasato tutti i miei averi da una casa all'altra. Finalmente anch'io dormo sotto un tetto di paglia, con un ventilatore a pale che ti canta la ninnananna, il letto artigianalmente a baldacchino  e tre divani tutti per me, di cui due dotati di copertina Air Asia per la sonnolenza improvvisa.
Vivo ufficialmente fra giungla e risaie, ho delle zanzare che sono fenicotteri di giorno e di notte e nella speranza di sventare la Dengue ho investito un discreto capitale in Lozioni, Spray, Macchinette e Zampironi al fine di tenerle il più lontano possibile da me ed evitare la fine di un tetrapack di succo di frutta dopo la merenda, dal mio tetto di paglia possono filtrare senza alcun ostacolo ragni della misura di un donut ed altri insetti, apparentemente non velenosi, e probabilmente crotali e king cobras pascolano indisturbati sotto la mia giurisdizione sperando di non calpestare lo stesso terreno contemporaneamente (a questo fine mi sono dotata di torcia che mi illumini il cammino, non sono Austin Stevens e io e a me i rettili, proprio come gli umani con le stesse qualità, causano reazioni allergiche!).
Finalmente una casa come l'ho sempre sognata!
Stamattina ho finalmente investito la bellezza di un euro e ottanta per due set di incensi che con la mia casina nuova si sposano benissimo, ripristinando le vecchie usanze di ogni casa alla Charlie Man, qualcuno nel limitrofo compound suona le campane tubolari di legno, favorendomi la meditazione e la mia padrona di casa mi ha lasciato in eredità una decadente collezione di tazze e piatti tutti spaiati, degni della mia personalità, una teiera e ben tre padelle che sembrano quelle di mia nonna!
Cosa potrei chiedere di più dalla vita.
Spostarsi a Penestanan, il quartiere più in voga fra gli Hippies dimenticati di Ubud, ha inoltre come lato positivo che a pochi minuti a piedi hai tutto a portata di mano: dai locali crudisti, di cui dovrei ricominciare ad abusare vista la pancia che mi ritrovo, un centro Yoga frequentato ma non troppo, dove curare i miei nervi che ultimamente sono fin troppo provati, street food da cacciare in borsa scendendo in ufficio e perfino un Warung Nipponico che per tre euro ti consegna il Bento, completo di zuppa di Miso, per un pranzetto da re!
Non lo metto in dubbio, a Bali e perfino ad Ubud, si può spendere molto molto di meno. Verissimo.
Il punto è: perché farlo?
Non sono mai stata una fiera sostenitrice dei conti correnti che si devono riempire a discapito di un tenore di vita mediocre, non ho le mani bucate, non sono una Shopaholic e provvedo sempre a pagare i miei conti prima di concedermi qualche sfizio, anche i più contenuti.

Ma quando abbiamo smesso di cercare qualità nella nostra vita?

Ognuno ha la sua concezione di qualità: per me addormentarmi fra i canti dei Geckini che si ingozzano di Zanzare nel mio cortile era il massimo a cui potevo aspirare per poter definire, la mia vita, di successo. 

mercoledì 14 gennaio 2015

La lunga strada verso Kuala Lumpur

Visa Run. La parola più temuta o aspettata dai nomadi digitali che scorrazzano beatamente per l'isola degli Dei e delle Dee. Lo stato indonesiano, difatti, concede un visto turistico, Visa On Arrival, a chiunque entri nello stato per una durata massima di due mesi. Da quel punto in poi, uno deve uscire dallo stato per poterlo riottenere per altri due mesi. Ovviamente vi sono altre soluzioni, Bali è il paese del cash, tanto sei disposto a pagare altrettanto la tua vita si semplificherà. Tuttavia, per una malata di valigie e posti nuovi, avere una data in cui ci si deve mettere per strada è una sorta di manna dal cielo! Così è iniziata l'avventura che ha visto due mozzarelle occidentali attraversare la Malesia con gli unici mezzi sconsigliati dalla Farnesina e passare una notte a caccia di una sistemazione.
Ma prendiamo le cose con ordine partendo proprio dal primo step di questo viaggio non volutamente avventuroso, ma con il senno di poi, quasi divertente.
Dopo aver passeggiato per le maniacalmente pulite strade di Singapore ed esserci imbattuti nel miglior ristorante indiano provato fino ad ora, ci siamo decisi a partire alla volta di Woodland, la stazione dove avremmo dovuto prendere il treno che in comodissimi sedili di prima classe ci avrebbe portato in Malesia. In una giornata nella città più User Friendly del mondo, si comincia a dare per scontato alcune cose. Ad esempio che la fermata della metro sarebbe coincisa con la stazione dei treni. Peccato, che nemmeno in quel piccolo mondo perfetto si possa dare nulla per certo. Così, una volta arrivati alla stazione della metro l'unica logica opzione era quella di prendere un bus che porta direttamente a JB Central, la prima stazione di confine Malesiano, per prendere il nostro treno. Ed è qui che casca il viaggiatore sprovveduto. L'autobus, dal costo ridicolo di 1.5 dollari di Singapore, ti porta al confine, dove passi il check out dell'immigrazione di Singapore, segue una corsa frenetica per riprendere il bus che ovviamente non aspetta per fare 500 mt in No Man's land e affrontare il Check in del passaporto dello stato malesiano. 
Burocrazia, mi fregherà sempre, in ogni angolo di mondo. Partire con due ore di anticipo non è stato sufficiente per garantirmi di arrivare nelle tempistiche desiderate. Povera mozzarella bianca, abituata alle dogane arrugginite ed i passaporti candidi dell'UE dei viaggiatori che non percorrono mai troppi chilometri. Attraversato il confine e raggiunta la stazione di JB Central si è così scoperto di aver perso il treno per la bellezza di un quarto d'ora. Il tempo perso a smistare impronte digitali e a registrarti come visitatore (solo io ogni volta che leggo la parola Visitor sul mio passaporto mi sento un aliena? Non si esce vivi dagli anni ottanta.) . Quindici euro di biglietto di prima classe persi per sempre. Che a Bali ti possono garantire svariati pasti, due lezioni di Yoga, alcuni capi di vestiario "da sbarco", un banchetto di pesce per due servito sulle sdraio della spiaggia più bella mai vista. Quei quindici euro ti stanno proprio sul gozzo, ma vabbè, nella vita si DEVE andare avanti, soprattutto se sei all'ingresso di un paese di cui la Farnesina ha segnalato diversi rapimenti, scippi e furti nei confronti di noi mozzarelle bianche.  Ti si presentano dunque due opzioni: attendere in stazione il notturno che partirà approssimativamente sei ore dopo oppure avventurarti in uno degli autobus che partono ogni mezzora per la capitale. E siccome due mozzarelle bianche per sei ore in stazione sono meno al sicuro che due mozzarelle bianche in autobus a passare tutte le zone gentilmente sconsigliate dal ministero degli esteri, uno non può fare altro che scegliere il male minore: autobus sia!
Sette euro e sei a bordo di queste poltrone divano in cui ti puoi letteralmente sdraiare e dormire.
Alla fine, pensi, non ti è andata male. Prevedendo che i mezzi malesiani non sarebbero stati attrezzati di ristoranti hai saccheggiato una bakery in centro città prendendo i pani più bislacchi che ti si siano presentati, dopo ovviamente averli assaggiati TUTTI, ti sei cacciata in borsa the giapponese al Sakura e una Coca Cola Vanilla, dovrebbero farci un fotoprogetto al gusto malsano della Coca Cola company di proporre questi gusti assurdi minando il tuo sistema peptico succube della tua curiosità e dulcis in fundo, letterale quanto mai, dolci indiani comprati ad un banchetto che ignora l'HACCP in Little India, dalla consistenza del dash, con colori sgargianti quanto una sposa bollywoodiana. Sei attrezzato per superare il viaggio ed eventualmente la notte e nulla ti spaventa.
Appena ti metti in moto scopri che anche in Malesia c'è un gusto estremista nell'utilizzo dell'AC facendo si che fra il tuo autobus e la cella frigorifera di un macello vi è ben poca differenza, così anche se viaggi in zone sub tropicali ti metti maglia, maglietta e felpa e ti arrotoli nel comfort kit di Air Asia che mai sarebbe stato più utile. Sei ore passano relativamente veloci in questo autobus senza ammortizzatori che ti fa saltellare come un calzino disperso nella lavatrice. Ma fa parte dell'avventura, del viaggio. E poi, quant'è fico essere l'unica mozzarella bianca per trecento chilometri! Finalmente ti sei liberata del tuo status di occidentale sterile e disinfettato e come ogni folle viaggiatore che si rispetti ti mimetizzi con gli autoctoni: a questo punto di unto è possibile e ne vai fiera.
Arrivati a KL da brava mozzarella orientalizzata cominci a contrattare brutalmente con i tassisti che ti chiedono più del doppio della tariffa prevista. Anni di Grecia ti hanno svezzata e non li temi anzi il mercanteggiare è oramai parte della tua vita quotidiana da anni. Dopo aver trovato qualcuno disposto a portarti a destinazione al prezzo desiderato ti avvii verso il bellissimo appartamentino prenotato via Airbnb, la tua seconda scelta quando Couchsurfing fallisce nella ricerca e non hai voglia di cercare un ostello leggendo le ventiquattromila recensioni. Una volta sotto questo discreto palazzo di oltre quaranta piani, ti attende un'amara scoperta: il tuo host si è dimenticato di comunicare alla security il tuo arrivo, non è a casa, ha il telefono non raggiungibile.
Dai su, qui da brava veneta una bestemmia ci sta.
La vita ti ha tuttavia insegnato che le sorprese più belle arrivano proprio quando i tuoi piani falliscono. Così respiri, ti fai dare la password del WiFi di quel posto da ricconi, che nonostante il prezzo basso ti stava proprio male addosso, ammettilo, e ti metti alla ricerca di un ostello. All'una e mezza. In una città che non conosci.
Quando hai bisogno di un posto dove trovare da mangiare o da dormire fuori orario c'è solo una risposta: China Town. E come preannunciato la stanza trovata ha soddisfatto a pieno le aspettative portandoci anche in centro città e scrollandoci di dosso il prezzo di Taxi e Mezzi per in cambio del lusso di camminare la città. Se credevi che quell'appartamento lussuoso fosse fin troppo economico, devi ricrederti. A differenza di Singapore, KL offre una vastissima gamma di alloggi, per tutte le tasche e le aspettative. Gli ostelli partono dalla ridicola cifra di 2 euro a notte per persona. Già stabilendo un budget di 10 euro a testa ti permetti una stanza pulitissima e di tutto rispetto, con ciabatte asciugamani e bagno privato.  Se poi sei uno di quelli che non si fa mancare i vizi, basta aprire booking e cacciare le mani un po' più infondo alla tasca: non è un'utopia trovare un cinque stelle a cinquanta euro a notte o poco più, con tutti i servizi inclusi, dal valletto al drink di accoglienza. Ma chi come me, preferisce potersi muovere di più e si accontenta di un posto sicuro e pulito in cui riposare dopo una lunga giornata  a spasso, non  farà fatica a trovare sistemazione.
Passata la sbronza delle dis-avventure di viaggio, ci si può concentrare nella sbronza di suoni, colori e rumori della variegatissima KL! 
Per non parlare del cibo. Come quasi tutte le città asiatiche fino ad ora visitate, il cibo prima di essere un lusso è una necessità e dato che le tavolate in famiglia qui sono limitate a pochi rari eventi e feste, e impossibile non trovare una vastissima gamma di cibi pronti a stuzzicare tutti i palati e le tasche
. A KL, mangiare potrebbe essere eletta l'attività migliore da fare in città e per cenare ogni sera con lo stesso genere bisogna proprio amare la routine. Chi vuole veramente addentrarsi nell'Asia verace non può perdere una tappa ad Alor Street, la versione più zozza e caotica della China Town di Singapore, dove troverete cibi meravigliosi ad un costo bassissimo in un clima da festa paesana che sembra non finire mai. Definire queste locandine ristoranti è un eufemismo: la patria di piatti di plastica appoggiati a vecchi set da giardino in plasticone. Non c'è alcuna concezione di Visual Merchandise nella loro presentazione e credo che citare la cucina molecolare a questi addetti ai ferri e alle padelle potrebbe solamente causare una sonora risata. Tuttavia rilassatevi: il pesce è ancora vivo nel suo acquario, prima di passare per la piastra e finire sul vostro piatto e tutto viene fatto a vista. Dato il sovraffollamento della zona, che dura tutta la giornata senza interruzione, è inequivocabile la frequenza ed il ricambio degli alimenti. Quindi rilassatevi e cominciate a tracannare Tiger gelate mentre attendete il vostro banchetto in questa festa dai mille colori.
Se invece siete da "mordi e fuggi" troverete facilmente miriadi di soluzioni pronte a soddisfare tutti i gusti in ogni quartiere. Cercate i Food Court, dei rudimentali tavoli messi al centro di una serie di ristorantini mini che vi propongono moltissimi menu. Scegliete il tipo di cucina, il piatto che volete degustare e preparatevi a spendere per un pranzo come si deve un euro e cinquanta circa a testa. Se poi volete accompagnare con succhi fatti al momento e dolcini vari rilancerete di un'altro euro il vostro pacchetto, ma non ingolfatevi in un pasto solo. Ogni angolo di KL offre sorprese culinarie ed è sempre allettante avere un po' di spazio per provare qualcosa di nuovo incontrato su una bancarella qualche quarto d'ora dopo.
A differenza della perfetta Singapore, Kuala Lumpur rende quasi tangibili le differenze della sua popolatissima natura umana e passare da un quartiere all'altro ti farà cambiare non solo visuale ma anche sensazioni. 
Hai a che fare con uno stato musulmano, sicuramente meno radicale degli Emirati Arabi, tuttavia il clima che si respira è di una cultura che si sviluppa secondo canoni più antichi, poco noti a chi di noi non ha avuto modo di vivere nelle regioni di confine che spesso stridono con il liberismo occidentale, impostazione di default che ci si attende di trovare in una delle città più ricche e potenti del pianeta. Come nella sua vicina, infondo sono poco meno di quattrocento chilometri, ci sono diverse culture che ci convivono tuttavia qui è più facile distinguere le differenze fra un credo e l'altro, che influenzano non solo il modo di apparire ma anche di rapportarsi alle persone circostanti. Il benessere economico di un paese in attuale crescita in questo caso non ha creato una popolazione abbastanza omogenea, dove c'è lavoro per tutti. Qui le differenze si sentono e si vedono fra un quartiere e l'altro. Dal Central Market che ricorda un vero e proprio Souk orientale per colori e popolazione al posh Bukit Bintang, dove vetrine di Vuitton, Prada, Gucci e altre grandissime marche fanno da corollario a grandi hotel in cui i clienti hanno il facchino che porta su le borse di una stancante giornata di shopping in AmEx nera, passando per la vivace e rumorosa China Town, un carnevale di colori che non sbiadiscono mai. 
KL è un mondo talmente vasto che non basta una sola città per contenerlo. Un calderone che ribolle, fatto di turisti con il naso all'aria e lo sguardo perso, di imprenditori e dirigenti occidentali che vengono portati dal loro autista in ristoranti sfavillanti, di bancarellisti cinesi che mangiano il riso ad ogni ora del giorno nascosti fra la merce pronti ad interrompersi se ti avvicini abbastanza, di donne con il Niqab mangiano come piccole acrobate sotto quella copertura quasi totale, di gente che non ha nulla più di uno scatolone aperto e di una maglia bucata. Ma infondo sono i contrasti a rendere un'immagine sgargiante e se Kuala Lumpur fosse un quadro avrebbe le foglie d'oro di Klimt, contrapposte ai colori pastello della gente comune che fa parte di questo grande brusio.
Ce n'è per tutti i gusti e nessuno può andare via da questa città senza aver trovato il proprio angolo felice, che sia fatto di shopping, di cibo rustico o raffinatissimo, di centri commerciali di sei piani grandi quanto un aeroporto italiano in centro città o di parchi. Passare del tempo a KL in questi tempi di rivolta, ti sottolinea ancora una volta, come la diversità non è sinonimo di violenza, di terrorismo. Ci sono altri ritmi, altri tempi, altre realtà ma la loro coesistenza non è vincolata dall'avere un unico credo, un unico dress code o una lingua comune.
In questa traversata non ho percepito nei modi di alcuno scortesia, al contrario, con il buonsenso che mi ha fatto evitare mini vertiginose e scollature provocanti ( che risparmio per buon gusto anche negli altri stati dato che non sono il tipo di donna che può permettersele senza apparire una caciotta non abbastanza stagionata)  tutte le persone con cui ho avuto modo di scambiare qualche parola si sono comportate in modo più che civile e meno borioso di noi occidentali che crediamo sempre di appartenere ad una società superiore. Mi dispiace dirlo, ma per ora l'unica razza arrogante che ho vissuto è la nostra, comodamente seduta nella loro casa ben arredata, con abbastanza cibo e chili in più, che passa il tempo a lamentarsi di quello che non ha invece di godersi quello che ha.
C'è solo un a certezza per chiunque si metta in viaggio, con il cuore e gli occhi aperti, alla ricerca di cosa il mondo è fatto. Ed è che incontrerà esseri umani. Che il bello del mondo sono i tasselli del puzzle che lo compongono. Che civiltà non significa omologazione e che sicurezza non coincide con comfort zone. Che l'umanità si nasconde dietro  un sorriso in un'altra lingua, dietro il cameriere che come in tutto il mondo ti invita a sederti per sbarcare la serata e che ti serve di buonumore, anche se il suo stipendio è sempre il più basso della catena. Che ti senti fortunato anche quando le cose vanno per il verso storto, quando vedi quanta gente ogni sera passa la notte su di uno scatolone aperto, sotto i portici di una banca eppure scherzano fra di loro e in un certo senso hanno creato di nuovo una piccola comunità. Che i tassisti sono uguali in tutto il mondo e proveranno sempre a ciularti qualche Euro, Dollaro, Ringit o Rupia in più. Che la parola grazie, detta con il cuore, a chi ha fatto solamente il suo lavoro ma con zelo e cura, è la ricompensa più grande che ci sia e ci dimentichiamo che ce la possiamo permettere tutti.

Questo viaggio è iniziato per me con una nota amara, che non è stata data da qualche piccolo intoppo.
Mentre ero in Aeroporto in attesa del mio volo, ho ricevuto la notizia della scomparsa di una delle persone più vive, solari, sorridenti e sincere che abbia mai avuto modo di vivere. Non è la quantità di avventure condivise con una persona che ne stabiliscono l'importanza che ha avuto, nemmeno il numero di parole scambiate o le etichette amico, conoscente, fratello, famiglia, docente. Ci sono persone, e se credessi in qualche divinità ringrazierei che qualcuna l'ho incrociata, che semplicemente ti lascia il segno.
Una come me è un ricettacolo di racconti, di storie, di avventure. A trentun anni ho vissuto in tre stati e sette città diverse e non ho ancora trovato un posto da chiamare "Casa" quindi prevedo altre mete. Questa e poche altre persone me le sono portate in giro per la Grecia, fra una tavolata e l'altra. Sono tornati con me in Italia, nei miei racconti di gioventù. Un pensiero è saltato fuori anche a Bali, quando provando a parlare dopo anni la sua lingua mi sentivo "correggere". 
Tutto questo per ricordarci che non siamo qui per sempre ed invecchiare è un lusso che non a tutti è concesso.
Cerchiamo di essere felici e prima di partire per un viaggio, sprechiamo qualche minuto per salutare chi amiamo. Ogni nostra frase e azione potrebbe essere l'ultima, vediamo di fare in modo che sia valsa la pena di essere la nostra battuta d'uscita.

La sua, sicuramente, lo sarà stato. 

martedì 13 gennaio 2015

Singapore: la perfezione fatta città




Immaginate una metropoli fatta di sbrilluccicanti grattacieli, straordinariamente puliti ed organizzati. Visualizzatevi a passeggiare per una delle città più popolose del mondo, senza guardarvi in giro con fare furtivo. Prendere una metro di sera in un ambiente totalmente nuovo con la sicurezza con cui si passeggia in un paesino della provincia italiana.  Immergetevi in un'utopica realtà, nella quale passeggerete fra Manager che stacchettano sulle loro Manolo di prima mattina e graziose Hindi con i loro Sari coloratissimi. Vi sentite in un clima di totale sicurezza, prelevate senza guardarvi intorno, appoggiate rilassatamente la tracolla alla sedia in un popoloso ristorante di Chinatown. Questo mondo esiste davvero ed è quella piccola puntina indipendente di Malesia nota come Singapore.  Lo so, da brave mozzarellone occidentali, collocare una città così pulita, perfetta ed ordinata in un continente che è sinonimo di pericolo, sporco e caotico è un paradosso. Purtroppo questo è quello che succede quando si è convinti di sapere senza lasciarsi il lusso di scoprire un posto, facendosi sorprendere, piacevolmente o meno. Si chiama l'arte dell'improvvisazione, dote di cui ogni viaggiatore dev'essere provvisto se vuole veramente riempire il suo taccuino di racconti colorati che vadano oltre ciò che c'è su trip advisor.
Spogliatevi di un po' di pregiudizi, mettetevi un paio di scarpe comode, portate dietro la Carta di Credito (qui potrebbe servire) e lasciatevi abbagliare dagli specchi dei grattacieli che splendono sui marciapiedi puliti in modo maniacale.
Singapore è una città stato e dopo un paio d'ore non è difficile capire il perché. In una posizione strategica dal punto di vista commerciale (avevate mai notato che le potenti città al mondo sono dei porti?) si presenta con un biglietto da visita glamour e patinato che non può che riflettere la sua semplice, laboriosa realtà. Sarà stato il passaggio dalla mia casa nella giungla alla civiltà più evoluta che mi ha dato, come primissima sensazione, quella di essere inciampata in un alveare. Con i suoi 5.400.000 abitanti da incasellare in 641 km2 ottimizzare gli spazi, per evitare l'Urban Jungle è una necessità primaria. Già dalla ricerca dell'alloggio  si cominciava a percepire questo senso di profondità verticale, una flotta di veri e propri alveari in cui il minimo spazio vitale è comunque full optional per offrire un comfort senza paragone. Alloggiare a Singapore, ti riporta a cacciare le mani in tasca come in Europa, gli hotel sono a livello occidentale sia per servizi che per prezzi, quindi se non sei schizzinoso, prenderti una cuccetta a 20 euro circa è una soluzione più che ottimale. Ti attenderà un letto pulitissimo, in quelle lussuose addirittura la flat screen TV ma la parola "stanza" è da depennare dalle proprie aspettative. Se soffri di claustrofobia, preparati a pagare come nella vecchia Europa.
Se ti scrolli di dosso un po' di pregiudizi che da brava mozzarella occidentale ti porti dietro, scoprirai che non c'è niente di più vivo, colorato e divertente di alloggiare (e cenare) in China Town!

Suvvia, sicuramente ti sei vaccinato prima di partire anche contro l'influenza spagnola, lanciati senza remore in questi fatiscenti, dai piatti di plastica senza tovaglia su tavoli da giardino, ristoranti cinesi alla ricerca del menu perfetto!  Adottate sempre il criterio d'oro del "ristorante più pieno" per maggiore qualità e non rimarrete certo delusi.

La prima regola per sopravvivere ad un ristorante in China Town è essere consapevoli che le porzioni sono più che abbondanti. Un piatto a testa è più che sufficiente, se volete anche qualche antipastino provvedete ad essere in tanti o di aver saltato il pasto precedente. Anche gli stomaci più provati possono essere messi a disagio dalle quantità fin troppo generose dei ristoranti cinesi.
La seconda regola è essere decisi e dire di no quando le cameriere passeranno, appena vedono la birra agli sgoccioli, a chiedere se ne volete un'altra. Un solo secondo di titubanza vi porterà ad un'altra poi un'altra e ancora un'altra, seguendo la tradizione dei locali che sembrano utilizzare il cibo per accompagnare l'alcool, non il contrario. Se siete di questa scuola di pensiero, mettete un'aspirina in borsa per il risveglio del giorno dopo e godetevi la serata!

Una volta fatto giorno, regalatevi del tempo per quattro passi per questa città e godetevi le sue fantastiche sfaccettature. Potete cominciare dalla rumorosa China Town con le sue variegatissime bancarelle in cui troverete le imitazioni di qualsiasi oggetto, stoffa, maglia borsa o tecnologia per poi continuare con la coloratissima Little India, dove vi perderete fra botteghette d'oro kitch e negozi di stoffe colorate il tutto accompagnato dai profumi di curry e curcuma che vi trapanano lo stomaco e la musica rigorosamente bollywoodiana a palla!
Una festa continua che non si ferma mai.
Di raccordo fra un quartiere e l'altro sarà facile vedere tempi induisti e buddhisti alternati a moschee e cattedrali. La rappresentazione architettonica perfetta di una società che ha abbattuto tutte le barriere culturali e dove l'essere umano non è catalogato in base al suo credo, colore o origine. Ma come ha fatto questa non troppo piccola città stato a creare questo clima di utopica perfezione, sotto ogni aspetto?

Nella Grecia dei Colonnelli, il mantra era: Calma, Ordine e Sicurezza. Le regole, rigorosissime, sono alla base di quest'ordine impeccabile. Appena metti piede in città, appaiono i cartelli del corrispondente delle multe da pagare per ogni singola infrazione. Ti ricompensa con una vita tranquilla, studiata e calcolata.
L'unico dubbio che mi resta, dopo essermi addentrata in questo mondo così perfetto da sembrare finto, è veramente così bella, la perfezione? 

lunedì 5 gennaio 2015

Le dieci cose che i balinesi ti possono insegnare per vivere meglio

Sono passati quasi due  mesi dal mio arrivo su quest'isola, che mi ha fatto sentire "a casa" fin dalle prime settimane. E se ancora ho tantissimo da scoprire in quest'isola piccola quanto ricca di microcosmi, posso intanto stillare un piccolo decalogo che rende i Balinesi un popolo felice e sereno, nonostante tutto.
Bali non ha sempre vissuto floridamente nel turismo. L'isola ha vissuto guerre, occupazioni e carestie dovute da quei bestioni che ci dormono sulla testa chiamati Batur e Agung. Tuttavia, in questo paese che sembra più un mosaico da quanto è variegato, Bali cerca di mantenere la sua identità anche in queste nuove prove chiamate turismo, expat e globalizzazione. A metà di una scalinata di 470 gradini nella giungla di centro isola, abbiamo incontrato una coppia olandese con una guida.  Per i piccoli percorsi raramente ben segnalati, affidarsi ad una guida sembra superfluo, ma mi sono dovuta ricredere. Una guida non serve per trovare la tua strada, ma serve per capire meglio questo popolo così discreto ed accondiscendente, visto che il mio padrone di casa ed il compound in cui vivo non parla inglese e il mio indonesiano mi permette di dire frasi poco più che elementari e capire cosa sto per mangiare. Davanti ad una tazza di Luwak e a frittelle di Banana, in una pausa di un'oretta fra una salita e l'altra, le chiacchiere si sono sprecate. Anche Bali ha i suoi lati oscuri, che vivendo ad Ubud nella stagione delle piogge si fanno sempre più sentire
-Noi siamo "oggetti" del turismo. Il grosso dei soldi va a Jakarta. Basta fare un calcolo approssimativo: nel 2014 oltre tre milioni di turisti sono arrivati a Bali, senza contare i semi residenti che vivono l'isola con un Visto Pensione o Sociale. Questi tre milioni di turisti hanno pagato 35 dollari di Visa On Arrival, tassa, per entrare nello stato ed altrettanto per estendere dopo i primi ventotto giorni la loro permanenza. Questi soldi però vanno direttamente a Jakarta. Noi vogliamo un sistema di riciclaggio funzionante, i nostri fiumi sono inquinati, non riusciamo a smaltire la plastica. Vogliamo strade nuove, sono vecchie e sconnesse. Ma quei soldi servono a regalarci la nostra libertà di essere, anche se poveri, come siamo. Jakarta è musulmana e se deve elargire fondi ci costringerà a smantellare templi e a costruire moschee. Smetteremo di indossare Sarong e Sash e saremo vestiti secondo il loro rito. Non potremo più pregare le nostre divinità. Questi soldi è il prezzo della nostra libertà.-
Un popolo che "accetta", questi sono i Balinesi. Che accetta occidentali che quando comprano un servizio credono di comprare le persone, la sindrome da colone qui è molto presente. Un popolo che nonostante il suo senso di "pudore" non ha battuto ciglio quando ad una cerimonia solenne come una cremazione turisti a torso nudo e birra in mano si facevano i selfie di fronte alle Pire. Un popolo che nonostante tutto, sorride. Un popolo che quando abbiamo slittato con lo scooter in una strada ostica, ci ha scortato a valle assicurandosi che stessimo bene in cambio di nulla.
-Noi crediamo nel Karma.- Continuava la nostra guida.- Le buone azioni che compio in questa vita mi porteranno ad averne una migliore dopo la reincarnazione. Non siamo come i musulmani, ai quali basta un Ramadan e sono come nuovi. Noi dobbiamo seguire il Dharma per tutta la nostra vita, se non vogliamo farci i conti nelle prossime.-
Cresciuta in un paese dal cattolicesimo ipocrita e su misura queste parole mi hanno suonato un campanello.
Queste sono le lezioni che questo coloratissimo popolo mi ha insegnato, in questi primi due mesi a spasso per l'isola.

Smile: is Beauty!
La frase che il mio insegnante di Yoga ripete, quando ti trovi contorto in dolorosissime posizione che sfidano la fisica, la gravità e tutte le scienze note a noi mozzarelle occidentali! Il balinese medio applica questa filosofia a tutti gli eventi meno piacevoli della giornata. Se attraversi la strada senza fare molta attenzione e ti appoggi al motorino di un'altra persona, non partono Santi e Madonne, ma ti sorridono. Quando rovesci la tazza di caffè al bar e la cameriera deve pulire, ti sorride. Quando portano cesti pesanti in testa fra le risaie lo fanno sorridendo. Sembra che questo popolo sia stranamente incapace di provare rabbia. "Non siamo quello che ci accade ma come decidiamo di reagire a ciò che ci succede" parafrasando Jung. Forse i Balinesi hanno preceduto uno dei padri della psicanalisi e hanno trovato la loro via della felicità senza bisogno di pagare strizzacervelli.





Two, is better than one.
Per fare un lavoro banale, qui serve almeno il doppio della forza lavoro che da noi in occidente. Qui non esiste la biomeccanica industriale, che nella mia mente si rappresenta sempre con le immagini in bianco e nero di Charlie Chaplin in Tempi Moderni. Se vai da una parrucchiera ti troverai ad averne tre sulla testa, due che ti passano la tinta ed una che passa loro le vaschette. Al ristorantino messicano, dietro un bancone che contiene al massimo due mozzarelle bianche prima che si scannino sfociando in cannibalismo, ci lavorano in sette, più altri otto fra tavoli cassa e take away. Dal tatuatore, nonostante l'artista sia uno, si alternano in altri due, che più che piegare fazzoletti, fare il caffè e riempire le vaschette di colore non fanno. Questo perché i Balinesi hanno il senso del "Compound". Non esiste antagonismo, miglioramento personale. Lavorano tutti per tutti, dividono i frutti del lavoro anche se alla fine che traina è sempre una percentuale bassa della forza lavoro. Dove inizia l'uno finisce l'altro. Non esistono orticelli da coltivare, ma solo una grande terra di cui gioire. Sarà forse questo che ha permesso loro di sopravvivere a tutte queste prove?

Chiedimi se sono felice
-Non importa quanto li paghi, li puoi letteralmente riempire di soldi. Se un balinese non è felice al lavoro, se non si diverte, senza pensarci due volte non ci viene più.-
Raccontava qualche settimana fa un argentino cresciuto in Spagna, titolare dell'unico ristorante spagnolo in città. La maggior parte di noi ha passato, o passa tuttora, il tempo facendo un lavoro che non lo soddisfa. Perché ci sono i conti da pagare, perché ci sono i figli, perché c'è la crisi, ognuno ha le sue motivazioni per non aggiornare il CV ed iniziare a farlo circolare alla ricerca di qualcosa di più idoneo alle proprie aspettative di vita. I Balinesi, pur essendo in confronto a noi, poveri, si riservano il lusso di cambiare lavoro se il datore è un isterico mestruato spocchioso oppure se l'ambiente non li fa sentire a loro agio. Dato che l'unica certezza che abbiamo è che trascorreremo la maggior parte della nostra vita lavorando, è davvero così stupido cercare di farlo in un posto e con della gente che ci siano congeniali?

C'è sempre una via.
Il giorno di Natale, mentre sorseggiavo succhi di mango sulla celeberrima White Sand Beach, ho conosciuto una coppia dolcissima proveniente dalla terra di mezzo. O meglio, lei è una Kiwi mentre lui un Inglese felicemente trapiantato che torna a casa solo per le vacanze. Era già stato a Bali cinque anni fa. Alla White Sand, c'è sempre un vecchietto tutto pelle e ossa e  dal sorriso sdentato ma contagioso che suona uno xilofono di bamboo per poche rupie.
-Cinque anni fa ero qui sulla spiaggia, ed il vecchietto mi ha chiesto se volevo bere un cocco. All'epoca non c'erano molti barettini, così gli ho detto di si. Sono dovuto correre a fermarlo quando mi sono accorto che si stava arrampicando sulla palma per procurarmi qualcosa da bere!-
Per i Balinesi, c'è sempre una via. A volte richiede fatica, ma non si fermano certo alla prima difficoltà.

Essere gentili cambia la giornata.
Ogni volta che un Balinese ti ferma perde tempo a chiederti come stai e dove vai. Quali sono i tuoi programmi della giornata. Cosa possono fare per aiutarti. Non è retorica: è il loro modo di vivere. Ad un ristorante,  anche quelli da pochissime rupie, passeranno dieci volte a controllare che il cibo sia di tuo gradimento, che tu abbia abbastanza salsine oppure che la tua birra non sia finita. Appena dici loro che il pasto è squisito ti guardano soddisfatti, come se avessero superato il test di uno chef stellato. I Balinesi, credono nel Karma e credono che la vita li ricompenserà in base alle loro azioni.  Non sono avidi e non mentono perché temono di essere ripagati con la stessa moneta. Quale sia la genuinità alla base della loro azione è semanticamente impossibile da valutare.  Il risultato è quello che conta e vivere in un ambiente dove la gente non cerca di farti/farsi le scarpe è contagioso. Per fortuna!

Take it easy!
Buona parte della vita di un balinese lo trova sciallo, spalmato in qualche ombra a sonnecchiare, a chiacchierare, a ridere o a giocare a scacchi. Questo loro atteggiamento li ha premiati con il titolo di fancazzisti per eccellenza.  Un Balinese  non soffre di apatia, non ha bisogno di sgambettare dalla mattina alla sera per sentirsi realizzato e sa ottimizzare il tempo libero, regalandosi numerose pause. Coglie i "tempi morti" come un'occasione per passare del tempo a chiacchierare, beve birre e ride. Non hanno un'industria vera e propria, non producono nulla di esportabile tuttavia vivono di più e meglio, nonostante ai tropici i rischi per la salute siano infiniti e per la maggior parte di loro le condizioni igieniche lascino molto a desiderare. E' così insensato accettare che la vita è fatta anche di parti noiose?

Cerimony!
La parola più temuta dagli expat e dai turisti navigati in quest'isola. Quando c'è una cerimonia, tutto si ferma. Soprattutto per le feste grosse tutti i Balinesi rientrano ai loro paesi di origine e festeggiano con i loro cari, assolutamente non curanti di tutte le mozzarelle bianche che attendono di essere nutrite, viziate, coccolate e trasportate in giro per l'isola. Quando a capodanno, i titolari dell'homestay in cui ci siamo rifugiati, ci hanno comunicato chiedendoci scusa, che la cucina alle sei era già chiusa perché dovevano festeggiare siamo rimasti a bocca aperta. Nessuno rinuncia al lavoro per una festività nel nostro angolo di mondo! L'anno scorso ho passato le mie vigilie in negozio e già mi sentivo fortunata a staccare prima per non arrivare a casa all'ultimo momento. Loro invece, non curanti della gente che paga, ti consigliano i posti che terranno aperto fino a tardi e si ritirano a bere birre e suonare la chitarra! Doppiamente fancazzisti, secondo in nostri canoni. Ma sorridenti, sereni e divertiti. C'è davvero questo bisogno di avere tutto, sempre e comunque?
 
Se devi fare una cosa, rendila bella.
Il nostro angolo di mondo, che si sviluppa e si consuma altrettanto rapidamente, è all'insegna della "praticità". La bellezza è un lusso e come tale va debitamente pagato. Qui tutto ciò che viene fatto, dai piatti dei più umili Warung, le donazioni mattutine ai demoni per placare la loro ira o riordinare la casa, viene fatto seguendo un estetismo senza limiti. C'è arte ovunque, dalle porte e le statue intagliate a mano, alla frutta tagliata decorandola per la colazione. Da noi, chi perderebbe il tempo di tagliare un cocomero rendendolo carino in un alloggio di bassissima categoria in una zona poco battuta dai turisti?

Datemi uno scooter  e vi trasporto il mondo.
Per muoversi nel caos delle arterie principali della città e dell'isola, se si decide di salire in macchina serve armarsi di pazienza e prepararsi a lasciarsi intrattenere dall'autista nelle lunghissime colonne che ci si trova davanti. L'isola non era pronta a questo flusso di turisti e la viabilità era a malapena progettata per gli abitanti e qualche hippie che si è dimenticato di rientrare. In alta stagione, ma anche gli altri giorni, le strade sono costantemente imbottigliate. L'unica soluzione, per  chi ci passa un po' di tempo o non vuole passare le giornate nel cemento, è mettersi a cavallo di uno scooter e fare lo slalom tra auto ferme, altri scooter, cani pigri che sonnecchiano in mezzo alle strade e scimmie impertinenti. Non è pane per tutti i denti: richiede sangue freddo a più non posso e pazienza. Ma i locali sembrano averne fatto un'arte. Oramai non stupisce più vedere quattro persone a bordo complete di spesa che si lanciano nelle statali fra un paese e l'altro, rudimentali banchetti di streetfood trasportati su due ruote, boccioni d'acqua e pali di bamboo trasportati come se fossero noccioline. Il Balinese medio è una sorta di Transformer: mettigli una sella e due ruote solo le chiappe e non porre limiti alla sua fantasia ed equilibrio.

Terima Kasih.
Forse la parola più utilizzata sull'isola: Grazie. I Balinesi ringraziano per tutto! Ti ringraziano quando scegli il loro servizio anziché un altro, quando dai loro precedenza anche se non ne avrebbero diritto, quando dici loro che il pasto era di tuo gradimento, quando permetti loro di ripeterti l'ordine della cena o di pulirti la casa ogni mattina, quando li stupisci chiedendo loro come stanno, quando accetti il loro aiuto ed i loro consigli. Ogni azione è motivo di gratitudine. Verso di te, verso gli dei, verso l'universo, il Balinese è grato di tutto quello che ha. Di essere parte vibrante di una società alveare dove tutti hanno il loro ruolo. Della terra che vive, cammina e coltiva. Della vita che ha nella sua piccola bolla che lo fa sentire al sicuro del mondo la fuori. La maggior parte dei Balinesi non ha mai lasciato l'isola eppure non ne ha mai sentito il bisogno. Si potrebbero permettere molto di più, nonostante ciò preferiscono riversare i loro averi nella loro comunità con cospicue donazioni al tempio, il loro centro di vita, tutte al nominativo per evitare che "quote" spariscano in nero.

Non esistono popoli perfetti, esistono popoli felici e la mia finora esperienza di viaggiatrice, mi ha dimostrato come "felicità" e "benessere" non sempre vadano a braccetto.
Inizio questo anno con un nuovo bagaglio costruito con esperienze in un mondo che non mi appartiene, ma soprattutto con la consapevolezza che nessun mondo mi appartiene ed apparterrà mai.


domenica 4 gennaio 2015

Charlie e la fabbrica di cioccolato... di Charly!

 Decidi di prenderti qualche giorno lontano dal caos di una cittadina invasa dal Caos di turisti a caccia di Santoni, sessioni di Yoga o dei passi di Elizabeth Gilbert nella città medicina, approfittando del Natale per "disconnetterti" per qualche giorno di fila. Così scegli una delle mete più impopolari per il turista medio: Il Nord-Est dell'isola. Quella delle spiagge costellate dalla barriera corallina, dove più che fare immersioni, mangiare pesce appena pescato e sfidare il sole dei tropici con una protezione 30 che nonostante la tua melanina sveglia e reattiva ha i tempi di un impiegato  pubblico un ora prima di staccare, un venerdì, pre ponte.
Hai deciso di smettere di fare come tutti quegli Expat che non fanno che lamentarsi del rialzo del costo della vita mentre sorseggiano bibitoni biodinamici con batteri vari che ci danzano in coloratissime bevande a cui fa brutto chiedere "mo che cazzo ci avete messo qui?" e di lasciare il semplice homestay tradizionale in nome di un fighetto quattro stelle con piscina lungomare (che comunque ti costa venticinque euro a notte! ). Così arrivi in questi splendidi piccoli bungalows, immersi in Buganvillee e Frangipani ad ascoltare l'oceano che ogni tanto si incazza, i bambini locali che ridono sguazzando a riva, i pescatori che parlano una lingua che senti sempre di più il bisogno di cominciare a masticare.

Mentre sorseggi il tuo Banana Smoothie di benvenuto dopo il primo tuffo in piscina, l'addetta alla tua stanza ti porta un opuscolo turistico. Decidi così di mantenere il più possibile la parola data quando hai cavalcato lo scooter promettendoti di essere offline il più possibile e torni al vecchio cartaceo, il primo vecchio amore che non si scorda mai. Fra pagine che narrano le tradizioni più incomprensibili, appare lei, la pubblicità della fabbrica di Cioccolato diCharly. Sarà il clima natalizio insediatosi in te come l'epatite, l'assenza di Panettoni o quei giorni del mese in cui ti senti in diritto di squartarti un bisonte rispondendo un banale "perché si!"
al tuo senso di colpa perenne, ma quella pubblicità ti colpisce come nessun'altra.
Una fabbrica del cioccolato, a Bali, sulla spiaggia, fatta di sole casette di paglia da cui più che gli Oompa Loompa ti aspetti di vederci sbucare un Hobbit. Forse nel mio Smoothie alla Banana c'era qualcosa di allucinogeno. Leggi meglio: un'altalena che da due palme arriva direttamente sull'oceano. "The Chair of Instant Englightenment", la chiamano. Ho deciso: il mio regalo di Natale per quest'anno, sarà trovare questo posto! Anche perché, come pubblicità recita, "come tutte le cose che meritano a questo mondo, non sono semplici da trovare! Quando l'allievo è pronto, il cioccolato si manifesterà a lui!".
Devi assolutamente arrivarci.
Arriva il giorno di Natale. Dopo una lunga giornata in spiaggia ed una giga abbuffata di pesce accompagnata da quattro chiacchiere con due ragazzi che vivono al confine del mondo, decidi di metterti in motorino alla ricerca di Charly e della suaFabbrica del Cioccolato.
Sai di essere ad un paio di Kilometri, il lungomare fra Candidasa e Amlapura non è New York, disponi di tutta la tecnologia del caso, hai indossato il tuo sorriso migliore per chiedere informazioni nel caso di dovessi perdere e ti porti dietro come una reliquia l'opuscolo che ti ha aperto gli occhi su questo meraviglioso posto. Dopo quasi mezzora di ricerca è bastato dire ad un locale la parola Charly ed ecco che magicamente la via è stata indicata.
Un altro po' di sterrato e macigni e finalmente la trovi. La fabbrica di Charly, quella del cioccolato e non solo.
Il proprietario è uno Statunitense della Florida per l'esattezza, che si è trasferito non solo in questo puntino sul mappamondo, ma anche in uno dei suoi posti meno noti ai turisti e si è messo a fare cioccolata, con l'arte di chi lo fa più per passione che per mestiere. Le sue confezioni semplici ed ecologiche e la squisita imperfezione di ogni singolo pezzo degustato ti fa capire la differenza tra la catena di montaggio e l'artigiano. Da Charly ci sono pochissimi prodotti, ma ognuno di loro ha una sua unicità e sicuramente, vale il modesto prezzo. Dopo un breve tour che prevede la spiegazione di come avviene la magia, ti verranno offerti i semplici prodotti, dal fondente, al Krunch, un cioccolatino di riso nero soffiato passando per la sua celestiale Nuteresa: una rivisitazione artigianale della Nutella basata sugli anacardi e il cioccolato. Ma da Charly non c'è solo cioccolato: lo sciroppo di Cocco è la vera rivoluzione copernicana per noi abituati a quarantasette mila tipi di zucchero, tutti di dubbia naturalità. Lo sciroppo di cocco non è altro che acqua di cocco, materia che beneficia non poco il nostro organismo, dal metabolismo al sistema immunitario, condensata. Dalla visita alla fabbrica di Charly non ho più toccato nemmeno lo zucchero grezzo melassoso delle piantagioni di Luwak, è talmente buono e mai stomachevole che da un gusto adorabile a tutto, dal caffè al pudding di riso castano che spesso preparo per colazione.
In tutta questa cornice la botteghina si sta espandendo e si prevede l'apertura proprio in quella nave in Bamboo, di un piccolo cafè dove potrete degustare la spettacolare cioccolata calda artigianale e potete salire sulla fantastica altalena di legno, che balla sull'oceano. La sensazione di volare sulle onde: non ha prezzo.
Incontrare  queste realtà mi da sempre un boost di fiducia in più. Vedere che idee nuove nascono e si sviluppano in modo utopicamente visionario per i nostri standard, mi fa sentire in ottima compagnia.

Il mio Natale, non è stato costellato di pandori e panettoni e le mie tavolate sono state all'insegna del pescato fresco dell'oceano ma trovare la fabbrica di Charly e la sua splendida altalena sull'oceano mi ha riportato a quand'ero bambina ricordandomi la magia della felicità che solo un mondo di cioccolato ti può regalare. 


Vi allego il Link dell'intervista a Charly, per chi sa l'inglese e vuole saperne di più!