Visa Run. La parola
più temuta o aspettata dai nomadi digitali che scorrazzano beatamente per
l'isola degli Dei e delle Dee. Lo stato indonesiano, difatti, concede un visto
turistico, Visa On Arrival, a chiunque entri nello stato per una durata massima
di due mesi. Da quel punto in poi, uno deve uscire dallo stato per poterlo
riottenere per altri due mesi. Ovviamente vi sono altre soluzioni, Bali è il
paese del cash, tanto sei disposto a pagare altrettanto la tua vita si
semplificherà. Tuttavia, per una malata di valigie e posti nuovi, avere una
data in cui ci si deve mettere per strada è una sorta di manna dal cielo! Così
è iniziata l'avventura che ha visto due mozzarelle occidentali attraversare la
Malesia con gli unici mezzi sconsigliati dalla Farnesina e passare una notte a
caccia di una sistemazione.
Ma prendiamo le cose
con ordine partendo proprio dal primo step di questo viaggio non volutamente
avventuroso, ma con il senno di poi, quasi divertente.
Dopo aver
passeggiato per le maniacalmente pulite strade di Singapore ed esserci
imbattuti nel miglior ristorante indiano provato fino ad ora, ci siamo decisi a
partire alla volta di Woodland, la stazione dove avremmo dovuto prendere il
treno che in comodissimi sedili di prima classe ci avrebbe portato in Malesia.
In una giornata nella città più User Friendly del mondo, si comincia a dare per
scontato alcune cose. Ad esempio che la fermata della metro sarebbe coincisa
con la stazione dei treni. Peccato, che nemmeno in quel piccolo mondo perfetto
si possa dare nulla per certo. Così, una volta arrivati alla stazione della
metro l'unica logica opzione era quella di prendere un bus che porta
direttamente a JB Central, la prima stazione di confine Malesiano, per prendere
il nostro treno. Ed è qui che casca il viaggiatore sprovveduto. L'autobus, dal
costo ridicolo di 1.5 dollari di Singapore, ti porta al confine, dove passi il
check out dell'immigrazione di Singapore, segue una corsa frenetica per
riprendere il bus che ovviamente non aspetta per fare 500 mt in No Man's land e
affrontare il Check in del passaporto dello stato malesiano.
Burocrazia, mi
fregherà sempre, in ogni angolo di mondo. Partire con due ore di anticipo non è
stato sufficiente per garantirmi di arrivare nelle tempistiche desiderate.
Povera mozzarella bianca, abituata alle dogane arrugginite ed i passaporti
candidi dell'UE dei viaggiatori che non percorrono mai troppi chilometri.
Attraversato il confine e raggiunta la stazione di JB Central si è così
scoperto di aver perso il treno per la bellezza di un quarto d'ora. Il tempo
perso a smistare impronte digitali e a registrarti come visitatore (solo io
ogni volta che leggo la parola Visitor sul mio passaporto mi sento un aliena?
Non si esce vivi dagli anni ottanta.) . Quindici euro di biglietto di prima
classe persi per sempre. Che a Bali ti possono garantire svariati pasti, due
lezioni di Yoga, alcuni capi di vestiario "da sbarco", un banchetto
di pesce per due servito sulle sdraio della spiaggia più bella mai vista. Quei
quindici euro ti stanno proprio sul gozzo, ma vabbè, nella vita si DEVE andare
avanti, soprattutto se sei all'ingresso di un paese di cui la Farnesina ha
segnalato diversi rapimenti, scippi e furti nei confronti di noi mozzarelle
bianche. Ti si presentano dunque due
opzioni: attendere in stazione il notturno che partirà approssimativamente sei
ore dopo oppure avventurarti in uno degli autobus che partono ogni mezzora per
la capitale. E siccome due mozzarelle bianche per sei ore in stazione sono meno
al sicuro che due mozzarelle bianche in autobus a passare tutte le zone
gentilmente sconsigliate dal ministero degli esteri, uno non può fare altro che
scegliere il male minore: autobus sia!
Sette euro e sei a
bordo di queste poltrone divano in cui ti puoi letteralmente sdraiare e
dormire.
Alla fine, pensi,
non ti è andata male. Prevedendo che i mezzi malesiani non sarebbero stati
attrezzati di ristoranti hai saccheggiato una bakery in centro città prendendo
i pani più bislacchi che ti si siano presentati, dopo ovviamente averli
assaggiati TUTTI, ti sei cacciata in borsa the giapponese al Sakura e una Coca
Cola Vanilla, dovrebbero farci un fotoprogetto al gusto malsano della Coca Cola
company di proporre questi gusti assurdi minando il tuo sistema peptico succube
della tua curiosità e dulcis in fundo, letterale quanto mai, dolci indiani
comprati ad un banchetto che ignora l'HACCP in Little India, dalla consistenza
del dash, con colori sgargianti quanto una sposa bollywoodiana. Sei attrezzato
per superare il viaggio ed eventualmente la notte e nulla ti spaventa.
Appena ti metti in
moto scopri che anche in Malesia c'è un gusto estremista nell'utilizzo dell'AC facendo si che fra il tuo autobus e la cella frigorifera di un macello vi è ben poca differenza,
così anche se viaggi in zone sub tropicali ti metti maglia, maglietta e felpa e
ti arrotoli nel comfort kit di Air Asia che mai sarebbe stato più utile. Sei
ore passano relativamente veloci in questo autobus senza ammortizzatori che ti
fa saltellare come un calzino disperso nella lavatrice. Ma fa parte
dell'avventura, del viaggio. E poi, quant'è fico essere l'unica mozzarella
bianca per trecento chilometri! Finalmente ti sei liberata del tuo status di
occidentale sterile e disinfettato e come ogni folle viaggiatore che si
rispetti ti mimetizzi con gli autoctoni: a questo punto di unto è possibile e
ne vai fiera.
Arrivati a KL da
brava mozzarella orientalizzata cominci a contrattare brutalmente con i
tassisti che ti chiedono più del doppio della tariffa prevista. Anni di Grecia
ti hanno svezzata e non li temi anzi il mercanteggiare è oramai parte della tua
vita quotidiana da anni. Dopo aver trovato qualcuno disposto a portarti a
destinazione al prezzo desiderato ti avvii verso il bellissimo appartamentino
prenotato via Airbnb, la tua seconda scelta quando Couchsurfing fallisce nella
ricerca e non hai voglia di cercare un ostello leggendo le ventiquattromila
recensioni. Una volta sotto questo discreto palazzo di oltre quaranta piani, ti
attende un'amara scoperta: il tuo host si è dimenticato di comunicare alla
security il tuo arrivo, non è a casa, ha il telefono non raggiungibile.
Dai su, qui da brava
veneta una bestemmia ci sta.
La vita ti ha
tuttavia insegnato che le sorprese più belle arrivano proprio quando i tuoi
piani falliscono. Così respiri, ti fai dare la password del WiFi di quel posto
da ricconi, che nonostante il prezzo basso ti stava proprio male addosso,
ammettilo, e ti metti alla ricerca di un ostello. All'una e mezza. In una città
che non conosci.
Quando hai bisogno
di un posto dove trovare da mangiare o da dormire fuori orario c'è solo una
risposta: China Town. E come preannunciato la stanza trovata ha soddisfatto a
pieno le aspettative portandoci anche in centro città e scrollandoci di dosso
il prezzo di Taxi e Mezzi per in cambio del lusso di camminare la città. Se
credevi che quell'appartamento lussuoso fosse fin troppo economico, devi
ricrederti. A differenza di Singapore, KL offre una vastissima gamma di
alloggi, per tutte le tasche e le aspettative. Gli ostelli partono dalla
ridicola cifra di 2 euro a notte per persona. Già stabilendo un budget di 10
euro a testa ti permetti una stanza pulitissima e di tutto rispetto, con
ciabatte asciugamani e bagno privato. Se
poi sei uno di quelli che non si fa mancare i vizi, basta aprire booking e
cacciare le mani un po' più infondo alla tasca: non è un'utopia trovare un
cinque stelle a cinquanta euro a notte o poco più, con tutti i servizi inclusi,
dal valletto al drink di accoglienza. Ma chi come me, preferisce potersi
muovere di più e si accontenta di un posto sicuro e pulito in cui riposare dopo
una lunga giornata a spasso, non farà fatica a trovare sistemazione.
Passata la sbronza
delle dis-avventure di viaggio, ci si può concentrare nella sbronza di suoni,
colori e rumori della variegatissima KL!
Per non parlare del cibo. Come quasi tutte le città asiatiche fino ad ora visitate, il cibo prima di essere un lusso è una necessità e dato che le tavolate in famiglia qui sono limitate a pochi rari eventi e feste, e impossibile non trovare una vastissima gamma di cibi pronti a stuzzicare tutti i palati e le tasche
. A KL, mangiare potrebbe essere eletta l'attività migliore da fare in città e per cenare ogni sera con lo stesso genere bisogna proprio amare la routine. Chi vuole veramente addentrarsi nell'Asia verace non può perdere una tappa ad Alor Street, la versione più zozza e caotica della China Town di Singapore, dove troverete cibi meravigliosi ad un costo bassissimo in un clima da festa paesana che sembra non finire mai. Definire queste locandine ristoranti è un eufemismo: la patria di piatti di plastica appoggiati a vecchi set da giardino in plasticone. Non c'è alcuna concezione di Visual Merchandise nella loro presentazione e credo che citare la cucina molecolare a questi addetti ai ferri e alle padelle potrebbe solamente causare una sonora risata. Tuttavia rilassatevi: il pesce è ancora vivo nel suo acquario, prima di passare per la piastra e finire sul vostro piatto e tutto viene fatto a vista. Dato il sovraffollamento della zona, che dura tutta la giornata senza interruzione, è inequivocabile la frequenza ed il ricambio degli alimenti. Quindi rilassatevi e cominciate a tracannare Tiger gelate mentre attendete il vostro banchetto in questa festa dai mille colori.
Se invece siete da "mordi e fuggi" troverete facilmente miriadi di soluzioni pronte a soddisfare tutti i gusti in ogni quartiere. Cercate i Food Court, dei rudimentali tavoli messi al centro di una serie di ristorantini mini che vi propongono moltissimi menu. Scegliete il tipo di cucina, il piatto che volete degustare e preparatevi a spendere per un pranzo come si deve un euro e cinquanta circa a testa. Se poi volete accompagnare con succhi fatti al momento e dolcini vari rilancerete di un'altro euro il vostro pacchetto, ma non ingolfatevi in un pasto solo. Ogni angolo di KL offre sorprese culinarie ed è sempre allettante avere un po' di spazio per provare qualcosa di nuovo incontrato su una bancarella qualche quarto d'ora dopo.
A differenza della
perfetta Singapore, Kuala Lumpur rende quasi tangibili le differenze della sua popolatissima natura umana e passare da un
quartiere all'altro ti farà cambiare non solo visuale ma anche sensazioni.
Hai
a che fare con uno stato musulmano, sicuramente meno radicale degli Emirati
Arabi, tuttavia il clima che si respira è di una cultura che si sviluppa
secondo canoni più antichi, poco noti a chi di noi non ha avuto modo di vivere
nelle regioni di confine che spesso stridono con il liberismo occidentale, impostazione di default che ci si attende di trovare in una delle città più ricche e potenti del pianeta. Come nella sua vicina, infondo sono poco meno di
quattrocento chilometri, ci sono diverse culture che ci convivono tuttavia qui è più
facile distinguere le differenze fra un credo e l'altro, che influenzano non
solo il modo di apparire ma anche di rapportarsi alle persone circostanti. Il
benessere economico di un paese in attuale crescita in questo caso non ha
creato una popolazione abbastanza omogenea, dove c'è lavoro per tutti. Qui le
differenze si sentono e si vedono fra un quartiere e l'altro. Dal Central
Market che ricorda un vero e proprio Souk orientale per colori e popolazione al posh Bukit Bintang, dove
vetrine di Vuitton, Prada, Gucci e altre grandissime marche fanno da corollario
a grandi hotel in cui i clienti hanno il facchino che porta su le borse di una
stancante giornata di shopping in AmEx nera, passando per la vivace e rumorosa
China Town, un carnevale di colori che non sbiadiscono mai.
KL è un mondo talmente
vasto che non basta una sola città per contenerlo. Un calderone che ribolle,
fatto di turisti con il naso all'aria e lo sguardo perso, di imprenditori e dirigenti occidentali che vengono portati
dal loro autista in ristoranti sfavillanti, di bancarellisti cinesi che
mangiano il riso ad ogni ora del giorno nascosti fra la merce pronti ad
interrompersi se ti avvicini abbastanza, di donne con il Niqab mangiano come piccole acrobate sotto quella
copertura quasi totale, di gente che non ha nulla più di uno scatolone aperto e di
una maglia bucata. Ma infondo sono i contrasti a rendere un'immagine sgargiante
e se Kuala Lumpur fosse un quadro avrebbe le foglie d'oro di Klimt,
contrapposte ai colori pastello della gente comune che fa parte di questo
grande brusio.
Ce n'è per tutti i
gusti e nessuno può andare via da questa città senza aver trovato il proprio
angolo felice, che sia fatto di shopping, di cibo rustico o raffinatissimo, di
centri commerciali di sei piani grandi quanto un aeroporto italiano in centro città
o di parchi. Passare del tempo a KL in questi tempi di rivolta, ti sottolinea
ancora una volta, come la diversità non è sinonimo di violenza, di terrorismo.
Ci sono altri ritmi, altri tempi, altre realtà ma la loro coesistenza non è
vincolata dall'avere un unico credo, un unico dress code o una lingua comune.
In questa traversata
non ho percepito nei modi di alcuno scortesia, al contrario, con il buonsenso
che mi ha fatto evitare mini vertiginose e scollature provocanti ( che
risparmio per buon gusto anche negli altri stati dato che non sono il tipo di
donna che può permettersele senza apparire una caciotta non abbastanza
stagionata) tutte le persone con cui ho
avuto modo di scambiare qualche parola si sono comportate in modo più che
civile e meno borioso di noi occidentali che crediamo sempre di appartenere ad
una società superiore. Mi dispiace dirlo, ma per ora l'unica razza arrogante che
ho vissuto è la nostra, comodamente seduta nella loro casa ben arredata, con
abbastanza cibo e chili in più, che passa il tempo a lamentarsi di quello che
non ha invece di godersi quello che ha.
C'è solo un a
certezza per chiunque si metta in viaggio, con il cuore e gli occhi aperti,
alla ricerca di cosa il mondo è fatto. Ed è che incontrerà esseri umani. Che il
bello del mondo sono i tasselli del puzzle che lo compongono. Che civiltà non
significa omologazione e che sicurezza non coincide con comfort zone. Che
l'umanità si nasconde dietro un sorriso
in un'altra lingua, dietro il cameriere che come in tutto il mondo ti invita a
sederti per sbarcare la serata e che ti serve di buonumore, anche se il suo
stipendio è sempre il più basso della catena. Che ti senti fortunato anche
quando le cose vanno per il verso storto, quando vedi quanta gente ogni sera
passa la notte su di uno scatolone aperto, sotto i portici di una banca eppure
scherzano fra di loro e in un certo senso hanno creato di nuovo una piccola
comunità. Che i tassisti sono uguali in tutto il mondo e proveranno sempre a
ciularti qualche Euro, Dollaro, Ringit o Rupia in più. Che la parola grazie,
detta con il cuore, a chi ha fatto solamente il suo lavoro ma con zelo e cura,
è la ricompensa più grande che ci sia e ci dimentichiamo che ce la possiamo
permettere tutti.
Questo viaggio è
iniziato per me con una nota amara, che non è stata data da qualche piccolo
intoppo.
Mentre ero in
Aeroporto in attesa del mio volo, ho ricevuto la notizia della scomparsa di una
delle persone più vive, solari, sorridenti e sincere che abbia mai avuto modo
di vivere. Non è la quantità di avventure condivise con una persona che ne
stabiliscono l'importanza che ha avuto, nemmeno il numero di parole scambiate o
le etichette amico, conoscente, fratello, famiglia, docente. Ci sono persone, e
se credessi in qualche divinità ringrazierei che qualcuna l'ho incrociata, che
semplicemente ti lascia il segno.
Una come me è un
ricettacolo di racconti, di storie, di avventure. A trentun anni ho vissuto in
tre stati e sette città diverse e non ho ancora trovato un posto da chiamare
"Casa" quindi prevedo altre mete. Questa e poche altre persone me le
sono portate in giro per la Grecia, fra una tavolata e l'altra. Sono tornati
con me in Italia, nei miei racconti di gioventù. Un pensiero è saltato fuori
anche a Bali, quando provando a parlare dopo anni la sua lingua mi sentivo
"correggere".
Tutto questo per
ricordarci che non siamo qui per sempre ed invecchiare è un lusso che non a
tutti è concesso.
Cerchiamo di essere
felici e prima di partire per un viaggio, sprechiamo qualche minuto per
salutare chi amiamo. Ogni nostra frase e azione potrebbe essere l'ultima,
vediamo di fare in modo che sia valsa la pena di essere la nostra battuta
d'uscita.
La sua, sicuramente,
lo sarà stato.
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