mercoledì 11 febbraio 2015

Io non ho paura.

Pur vivendo in una bolla, lontana migliaia di kilometri dalla miseria della crisi e dal terrorismo mediatico, seguo incessantemente le notizie provenienti da casa. Io di case ne ho due: una di mattoni stabile ed immutabile con l'andare degli anni, forse un po' posh, che mi ha vista nascere ed imparare come funziona il mondo, fra stabilità e circoli viziosi che spesso si intrecciano perdendo i confini e si chiama Italia. La seconda è un calderone che ribolle senza sosta, fatto di sogni e del sale del mare più blu che abbia mai visto in Europa, di un bagaglio storico importante e di una corona sempre più pesante di spine ed allori che risponde al nome di Ellade.
Non sono esente da crisi, sono un minimi, grava sulla mia testa la spada di Damocle delle tasse che cambiano come l'umore di una donna in PMS, ma la vita è arte e se si vuole osservare un quadro in tutti i suoi dettagli a volte è saggio fare qualche passo indietro e prendere le giuste distanze.
Dalla giusta distanza vi posso dire che a me la crisi non fa paura.
Non mi spaventa non avere certezze riguardanti il mio posto di lavoro, il mio conto in  banca, la mia pensione che non arriverà mai.
Non temo di non poter mai prendere un mutuo per comprare casa, non ho bisogno di una macchina costosa o di abbigliamento di marca che non mi potrò permettere. Non sono frustrata all'idea che a quasi trentadue anni non ho nulla di certo se non questi circa sessanta chili che mi porto a spasso fra un continente e l'altro, qualche sinapsi in più di quando ero più giovane e lo stomaco in panne se la sera prima faccio la splendida al ristorante indiano chiedendo un pasto molto spicy.
Quello che mi fa paura è il pressapochismo della mia generazione. Tremo ogni volta che sento pareri letteralmente defecati con estrema certezza su questioni di cui si ha una blanda infarinatura generale. Mi spaventa la poca voglia di cambiare, che vedo nelle persone. Tutti ripetono di volere un mondo migliore, ma lo attendono nella loro comfort zone, lagnandosi ma non prendendo in mano il volante. Ho paura ogni volta che una persona dichiara di non prendere posizione "perché tanto sono tutti uguali" senza nemmeno curarsi di avere un'idea dettagliata di chi stanno rinnegando. A volte mi sento di vivere in un limbo, una gigantesca sala d'attesa dove tutti attendono un domani migliore e nessuno se lo va a prendere.
Mi chiedo perché.
Com'è possibile che i figli della generazione che ha fatto il sessantotto non ha il coraggio di alzare la voce? Perché nella nostra vita le cose fondamentali sono gli sfizi, i gadget, il "sembrare" qualcuno invece di vivere in modo lineare? Da quando le bugie per quieto vivere fanno parte del lessico famigliare, le famiglie sono società per azioni e ci si lascia e si prende in base alle disponibilità economiche e ci si innamora su modello McDonald, tutto e subito e il cestino pieno di scarti?
Quando abbiamo smesso di credere in un mondo migliore?
Leggere le notizie diventa un processo sempre più doloroso. Affrontare questa folla di musi lunghi e rabbia, folate di calunnie e malignità, sensibilizzazione limitata ai propri simili e totale insensibilità ai morti di un dio minore.
A volte piango, nel leggere i commenti alle notizie.
Vorrei prendere a pugni tutti quelli che insultano la mia seconda casa, il mio secondo popolo, dalla loro comoda seggiola senza avere un'idea di quanto ingiusti siano stati questi cinque anni e di quanto abbiano violentato la loro natura conservatrice per alzare la testa.
Piango quando leggo sentite condoglianze per i morti al truce attentato francese e quando la notizia di centinaia di profughi morti di freddo annegati vengono commentati con un "meglio così, meno bocche da sfamare.".
Mi si contorcono le budella quando vedo che le vite umane vengono pesate e vendute in base alla bandiera dello stato, quella politica o quella religiosa.
E pensare che il mondo andrà avanti senza di noi in men che non si dica e noi abbiamo trascorso gran parte della nostra vita incazzati con qualcuno o qualcosa…
Quando ero bambina avevo un sacco di sogni. Credevo ai folletti dispettosi che mi nascondevano le cose in camera, anche se ammetto che a quello credo ancora. Alla fatina dei denti, a Babbo Natale, che le nuvole fossero di panna montata e la luna di pan di spagna. Credevo che un giorno avrei trovato un villaggio fatto di caramelle come Hansel e Gretel, che sarei stata in una gigantesca sagra paesana in centro USA a mangiare tiramolle appena fatte e che un giorno avrei nuotato in un mare pieno di pesci ( e credetemi, chi ha vissuto il nord adriatico negli anni post petrolchimico sa che questo è pari a sognare una partita a briscola con un alieno).
Alcuni si sono avverati, altri sono stati sfatati dalla scienza e da noiose persone adulte , anche se per me le nuvole restano di panna e la luna di pan di spagna.
Ho cambiato sogni, crescendo sono cresciuti con me. Ma non ho smesso un solo attimo di essere un'irrimediabile idealista, per molte persone utopica.
Il mondo non è stato cambiato dalle api operaie. Ogni grande rivoluzionario, scienziato o pioniere del passato si è sentito sicuramente dare del folle quando con quello strano scintillio negli occhi, come se stesse presentando il suo capolavoro, annunciava la sua scoperta.
Eppure la storia ha dimostrato che sono stati questi i personaggi che hanno cambiato il corso degli eventi.
La mia vita qui non è fatta solo di noci di cocco, di ottimo caffè e pasti succulenti.
Passo la maggior parte della mia giornata facendo quello che mi sono promessa quando mi sono cacciata trenta chili di zaino in spalla: imparare. Seguo corsi, parlo con persone, osservo un mondo che non avrei mai immaginato restando a casa e che il NatGeo e Dmax non hanno mai passato. Seguo workshop e corsi, mi specializzo in sempre più settori.
Non ho paura di tornare a casa ad affrontare la mazzata di tasse che mi attende. Ma ho paura di rientrare e trovare davanti a me ancora una volta l'ipocrisia di un mondo di polistirolo e HACCP, di sorrisi di circostanza e di vuote chiacchiere da bar. Oramai nella mia vita colleziono eccezioni e sempre più spesso sotto la forma di sorrisi ed abbracci sinceri, di chi non ha nulla da guadagnare da te, ma inevitabilmente ti vuole bene. Nel bene o nel male.
Leggo sempre le notizie da casa, pur consapevole che il mondo intero è casa mia.
Sono Italiana, sono Greca, sono Indonesiana, sono Ebrea, sono Palestinese, sono Indiana, sono Americana.
Sono umana.
Non ho paura di una crisi economica. La carta stampata non mi può spezzare il cuore.
Ho paura di una crisi umana. Questa non sono capace di affrontarla, va ben oltre le mie capacità.
E continuerò senza sosta a cercare idealisti, sognatori, moderni Quijote con il loro fido destriero, pronti ancora una volta a dimostrarmi che questo pianeta ospita dei meravigliosi esemplari.

Oggi non pubblicherò una foto scattata da me, ma pubblico un'opera d'arte, perché tale è, che mi sono tatuata poco fa. La spettacolarità di Banksy, a mio avviso, sta nell'essere il Little Black Dress dell'ideologia contemporanea.
Ho trovato in me molto più di quanto mi aspettassi in questo artista ed in questa immagine, al punto che, l'ho eletta simbolo alla creazione della mia impresina e di me in questa fase fondamentale della mia vita.



2 commenti:

  1. sai che potrei dire cosa non voglio ma una assertività in positivo mi manda in crisi. Eppure ho un quarto di secolo più di te.
    Siamo messi bene....
    Buona noce di cocco!

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  2. Ti tengo una noce di cocco in fresca, sperando che passi di qua. Così quelle quattro chiacchiere si ri-fanno face to face ^_^

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