mercoledì 3 dicembre 2014

L'arte di vivere (e sorridere) sotto la pioggia

La chiamano stagione delle piogge, un motivo ci sarà.
Infatti dalle giornate di caldo torrido dove ti seccavi come un pomodorino al sole si è passato a ricevere secchiate d'acqua in testa senza preavviso.
Tropici, che ci vuoi fare?
Non  era necessario venire dall'altra parte del mondo per comprendere quanto è vera la frase: El tempo el Cueo e i Siori fa queo che i voi iori. (trad per i non veneti: il tempo, il sedere e i signori, fanno quello che vogliono.)
C'è una cosa che però ho imparato da questo popolo dalle mille speziatissime contraddizioni: non hai bisogno del sole per avere una giornata di luce.
Tutti qui si muovono con mantelle, o giacche impermeabili, tenute sotto la sella. Dopo i primi tuoni vicini ti infili il tutto et voilà: sei pronto a ripartire. Anche perché ammettiamocelo: essere delle mozzarelle orientali ha i suoi lati positivi di cui uno importantissimo è non essere costretti a lavorare portando cestoni di ghiaia e sabbia sotto la pioggia, raccogliere il riso oppure costruire nuove case per nuovi arrivi.
Ma sapete qual'è la cosa che più ti sorprende? Che questi piccoli infaticabili lavoratori non smettono di sorridere. A volte mi chiedo se dietro a quel sorriso avorio si nasconda una rabbia camuffata, verso l'umanità o il mondo o il loro pantheon. Ma in realtà continuo a credere che dietro quel sorriso si nasconda l'eterna gratitudine di chi sa continuare la propria giornata sotto la pioggia con la  stessa serenità di chi vive sotto il sole.
E noi ci ostiniamo ad aspettare il sole per sorridere, l'estate per metterci in forma, Natale per fare i regali, l'inverno per ingrassare e smettere di fare la ceretta, l'età giusta per innamorarci, il giusto livello di estratto conto per mettere su famiglia. Passiamo la vita in un'eterna sala d'attesa, curiosi ed eccitati per il prossimo step senza goderci l'attuale. Ciondoliamo fra un futuro idealmente perfetto ed un passato nostalgicamente irripetibile, dimenticandoci del presente.
Peccato che di tutte queste sfere temporali, l'unica ad appartenerci veramente, sia il presente.

E' la mia terza settimana ad Ubud, quarta in giro per il mondo. Oramai pratico Yoga fra le 2 e le 3 volte a settimana. Ho trovato un piccolo angolino in mezzo alle risaie, una scuola senza "status" o pretese, proprio come me. Ho un'insegnante splendida, una folle alla faccia dei nostri simili ex-manager statunitense, che quattro anni e mezzo fa accorgendosi di essere "sposata" alla sua carriera si è presa un periodo di "pausa" che l'ha portata su quest'isola. Ora insegna Yoga, ha una bambina di tre anni e mezzo e un altro in arrivo.E' una delle donne più serene e belle che abbia mai conosciuto in vita mia. Ed è la prova, insieme a molte altre persone incontrate qui, che non esiste una sola via per la felicità. Ognuno deve trovare la sua, quella costruita sulle sue aspettative, quella in grado di offrire la vita che almeno nel periodo della vita in cui uno si trova, possa offrire quello di cui realmente si ha bisogno.

Essere felici dilata la vita che si ha. Allunga le giornate ed ogni momento va assaporato e condiviso, dalla lezione di Yoga dove ti rendi conto che lentamente stai riprendendo l'elasticità smarrita, a quella di Contact a cui stai per andare dopo anni senza praticare.
Ti muovi perché lo puoi fare e ne sei dannatamente felice. Cominci a percepire profondità dei respiri, ti ricordi la sensazione del piede che tocca il pavimento di legno.
Le mie giornate sono piene di vita e di attività perché ho smesso di aspettare il momento giusto. Oggi è il momento giusto, qui è il momento giusto.

Il mondo è troppo grande per scegliere l'infelicità.

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